Allo Spazio Fattoria ha avuto luogo una giornata di incontro, studio e confronto sul tema del potere, alla ricerca delle sue manifestazioni e implicazioni, in occasione del debutto di AMOЯ, creazione di Salvo Lombardo coprodotta da Chiasma, Fattoria Vittadini e MilanOltre. La relazione tra potere e alcuni degli ambiti in cui si declina è stata l’oggetto di quattro tavole rotonde dagli evocativi titoli di Potere e Canoni, Potere e Corpo, Potere e Educazione, Potere e Cosmovisioni, moderate rispettivamente da Viviana Gravano, Giulia Grechi, Anna Chiara Cimoli e Andrea Staid. Una serie di esercizi corporei, respiratori e sportivi, coordinati inizialmente dalla boxe coach Gaia Pagnini e in seguito da Salvo Lombardo, hanno poi introdotto i partecipanti alla proiezione in anteprima di Wasn’t built in a day, opera video di Salvo Lombardo e Daniele Spanò. Presentiamo qui alcune delle numerosissime suggestioni che la giornata ha offerto.

 

Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori: il Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR, con la sua altisonante incisione, fa da sfondo silenzioso alla scena, mentre due uomini trasportano il capitello di una colonna corinzia lungo i gradini antistanti al Colosseo quadrato. Con questa immagine si apre l’opera video Wasn’t built in a day, proiettata in conclusione della giornata. Il soggetto sottinteso è evidentemente Roma, ma la costruzione cui si fa riferimento non è soltanto quella della città nella sua materialità, ma soprattutto quella della sovrastruttura ideologica elaborata attorno a essa. Non a caso, nella scena immediatamente successiva, la citazione mussoliniana torna a catturare l’attenzione degli spettatori, mettendo l’accento sul legame inestricabile che intercorre tra potere e narrazione: quali sono i segni, i racconti, le iconografie che il potere utilizza per imporre sé stesso? 

Un albero sradicato rotea su una colonna in un’atmosfera angelica, stacco, un uomo sorregge una colonna, le sue gambe sostengono le pietre di una cultura antropocentrica. Ci si immerge in un bosco dove vi è una colonna abbandonata. La natura domina, il contrasto tra il bianco marmoreo dell’uomo e il colore verde racconta di un’integrazione non ancora avvenuta tra natura e cultura. Con un binocolo l’uomo cerca altri esseri viventi, ma questa curiosità si trasforma ancora una volta in una volontà di dominio che rende il suo sguardo il mirino di un fucile. La cesura radicale natura-cultura si riconcilia solamente nel corpo e nel suo potere erotico. Ecco che una dinamica di sottomissione fisica tra un uomo e una donna si ribalta nell’incontro intimo della donna con la propria ombra proiettata su una colonna; è di fronte a essa che si masturba, riconoscendo il potere insito nella consapevolezza del proprio corpo.

Una collana di perle strappata suggerisce quanto le dinamiche di potere siano da ricostruire. La mano che si abbassa ad afferrare una perla è fasciata, pronta a indossare un guantone da boxe, a reagire a quel potere che edifica ruoli precostituiti e monolitici, mentre contemporaneamente perpetua una narrazione mitica e ideologica di sé. La colonna ruota e offre il paio di guantoni alla mano femminile: il potere genera contropotere. La platea a cui è concesso l’accesso al microfono si amplia, il punto di vista muta, il mito è ridimensionato. Da inquadrature dal taglio perfettamente simmetrico di monumenti maestosi e immacolati, si passa a riprese più strette che da vicino mostrano marmi ingialliti, graffiti volgari, lavori in corso, sanpietrini storti e tremolanti. Il pugilato offre il proprio linguaggio fisico e sportivo alla manipolazione somatica di Salvo Lombardo e dei danzatori di Fattoria Vittadini che lo sfruttano per portare in scena il potere, per indagarne il valore e disattivarne i meccanismi attraverso la decostruzione del mito che ne è alla base: come declama Antonio nell’orazione funebre del Giulio Cesare, «vengo a seppellire Cesare non a lodarlo».

Arianna Allegretti, Andrea Bonzi, Valeria Gail Coscia


Immagine di © Daniele Spanò

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview