di Alessandro Sciarroni
visto al festival Uovo, Triennale di Milano  _ 21 marzo 2013

Nel ricco programma del Festival Uovo ha incuriosito Folk-s – Will You Still Love Me Tomorrow?, la proposta del coreografo e danzatore Alessandro Sciarroni per la prima volta davanti un pubblico milanese. Lo spettacolo nasce dalla riscoperta dello Schuhplatter, danza popolare tirolese e bavarese: questo ballo – il cui nome significa letteralmente “battitore di scarpe” – era in origine una danza di corteggiamento eseguita in cerchio da soli uomini che battevano ritmicamente le mani su cosce e scarpe. Proprio in questa forma tradizionale – con il solo strappo alla regola di coinvolgere nell’esecuzione un’interprete donna – lo Schuhplatter viene presentato al pubblico, in una sorta di prologo prima dell’inizio della vera e propria performance. I sei danzatori – Marco D’Agostin, Pablo Esbert Lilienfeld, Francesca Foscarini, Matteo Ramponi e Francesco Vecchi – vengono accompagnati bendati uno ad uno sul palco da Sciarroni. E proprio la cecità sembra permettere ai performer di accedere ad una dimensione ritmica parallela dalla quale potranno uscire soltanto quando la sintonia tra pubblico e folk-dancers si esaurirà. Le regole del gioco sono chiarite da uno dei danzatori, che prende la parola rivolgendosi al pubblico in sala: lo spettacolo durerà fino a quando almeno uno spettatore rimarrà in sala o fino a quando almeno un danzatore resisterà sul palcoscenico. Chi esce non può più rientrare.

Il pubblico, incuriosito e sbigottito, reagisce per lo più in due modi: c’è chi abbandona la platea quando si sente soddisfatto o annoiato da quanto ha visto e c’è invece chi accetta sfida e rimane a sbirciare la fatica dei danzatori, sperando in un imprevisto cedimento o in un finale a sorpresa. Qualcuno tenta di rompere la monotonia con un applauso, ma i performer continuano imperturbabili il loro rito coreutico.
La danza, che si basa su un modulo ritmico prefissato, si ripete continuamente con poche variazioni di movimento e di musica. Dall’iniziale e tradizionale struttura circolare si passa a una disposizione frontale o a coppie. Talvolta un danzatore esce dal gruppo, si riposa e ricomincia; ed è proprio in queste fasi di stallo – che l’autore definisce ‘anomalie’ – che si realizzano piccoli momenti di incontro tra i perfomer, in una delicata sospensione del ritmo dello Schuhplatter.
Progressivamente ci si accorge di essere di fronte a qualcosa di molto lontano dal folklore e la connotazione geografica perde via via importanza: i movimenti del corpo, pur nella loro precisione ritmica, non sono regolari e disciplinati e la naturalezza del ritmo desta nel pubblico sensazioni ataviche. Folk-s è sicuramente un esperimento interessante: il lavoro di decontestualizzazione del ballo popolare – la cui originalità si mantiene nei movimenti ripetitivi quasi ossessivi – e l’eccezionale sintonia del gruppo non passano certo inosservati. Ma il cuore del lavoro non risiede certo nella partitura coreografica o nell’abilità dei danzatori; Alessandro Sciarroni propone piuttosto una riflessione sull’atto della fruizione.
Se la provocazione verso lo spettatore e la sfida alla sua capacità di sopportazione non paiono certo inedite (basti pensare a Freeing The Body di Marina Abramovich in cui l’artista accompagnata da ritmi percussivi danzava per otto ore fino allo sfinimento), Sciarroni sembra qui indagare la possibilità di una condivisione profonda – quasi rituale – tra pubblico e interprete e di uno sguardo sullo spettacolo aperto, non obbligato né univoco.
Sperimentazione fine a se stessa, o forma che si trasfigura fino diventare contenuto, emozione, rito collettivo? A ogni spettatore – questa la sfida di Sciarroni – il diritto e il dovere di una risposta personale.

Camilla Lietti