Il teatro è ancora luogo di catarsi. Questo sembra raccontarci la XII edizione di Laboratorio Olimpico, tenutasi a Vicenza venerdì 20 e sabato 21 ottobre, curata da Roberto Cuppone, professore dell’Università di Genova oltre che autore, attore e regista teatrale, e da Cesare Galla, critico e giornalista, in collaborazione con Oliviero Ponte di Pino e Rete Critica.
Il tema di quest’anno è quello della diversità, un argomento complesso ed eterogeneo, che accoglie in sé la diversità fisica, quella economica, sociale, culturale, la diversità di genere e della psiche e che può essere affrontato da innumerevoli punti di vista, anche opposti fra loro.
Tutti noi ci sentiamo diversi l’uno dall’altro, pur sapendo di essere “uguali” in quanto appartenenti a una stessa specie: siamo simili. Simili, ma non uguali, questo è il problema. Un problema che si svela presto essere un punto di forza, in quanto ogni essere umano sente la necessità di affermarsi come essere unico, eccezionale, in grado di trasformare debolezze, limiti e differenze in opportunità. Freaks – La diversità fra teatro e spettacolo (questo  il titolo del convegno) ha avuto il pregio di accogliere sia una riflessione sullo sguardo di noi esseri umani in quanto spettatori – spettatori della diversità, attratti e affascinati da ciò che ci sembra fuori dal normale – sia una visione del teatro come luogo di “battaglia contro il pregiudizio”, come ha affermato Roberto Cuppone in apertura della prima giornata di convegno.

Storicamente si è partiti dall’antico Egitto raccontato da Nicola Savarese, docente all’Università di Roma Tre. Qui i nani lavoravano a corte, erano perfettamente inseriti nella società e tenuti da essa in grande considerazione. Saranno i greci a dare una valenza negativa alla diversità estetica, con Tersite descritto da Omero come il peggiore fra i guerrieri: codardo, gobbo, dalle gambe arcuate e zoppo. “Brutto e cattivo” vale come legge quanto “bello e buono” e così Luciano Chiodi del Liceo Classico “Pigafetta” di Vicenza racconta la storia di Filottete. Un uomo maledetto da Eracle, relegato allo stato di essere semi-umano, trasformatosi in selvaggio e primitivo, divorato dal dolore. L’etica e l’estetica greche qui sembrano vacillare. Filottete è semi-umano sì, ma ancora capace di fiducia e pietà, a differenza di un Odisseo astuto che incarna, nella tragedia di Sofocle, l’uomo dell’utile, spietato e calcolatore.
I greci antichi chiamavano chi era diverso, “lo straniero”, barbaro in quanto incapace di parlare la loro lingua, alieno alla loro società e cultura. I greci allo stesso tempo, ad esempio con il culto dionisiaco, vedevano nel mostruoso, nell’indemoniamento, un regalo della divinità, un privilegio concesso a pochi, come ha ricordato Paolo Puppa dell’Università Ca’ Foscari. Il teatro sembra così poter accogliere diversità e mostruosità prendendo su di sé l’onere e l’onore di imitarle per “normalizzarle” – rendendole “omologhe” e non banali – attraverso una catarsi tutta contemporanea.
Gli ideali, portati avanti oltre l’antichità, oltre il melodramma e fino ai giorni nostri, sono il bello, il buono, il vero, il perfetto: ciò che è fuori norma, fuori misura, diseguale è mostruoso e viene rappresentato per esaltare, nella cultura occidentale, le virtù di chi è “normale”. Monstrum in latino è però ciò che è portentoso, eccezionale, dalle qualità oltrepassanti i limiti della normalità, positivamente e negativamente.

Nella nostra società ciò che viene percepito dalla maggioranza come mostruoso è stato segregato in luoghi appositi in cui potesse essere esposto, guardato, fruito dal resto della comunità. Mario Bolognesi dell’Universidade Estadual Paulista di San Paolo e Eliene Benicio, Universidade da Federal da Bahia, hanno messo in luce due modalità di “esposizione del mostruoso”: quella che si fonda su ragioni scientifiche e di divulgazione – oggi non più necessaria – e quella che soddisfa il voyeurismo del pubblico, ma che al contempo dà ai “freaks” l’opportunità di lavoro come artisti.
Il circo è stato per lungo tempo il luogo principe per l’esposizione della deformità e ancora oggi in Brasile la tradizione circense rimane legata al sensazionalismo e al grottesco, basti pensare al Circo dos siete añoes da cui è stato tratto anche un film La vera storia dei sette nani, proprietari del circo, capaci di sfruttare la loro diversità rendendola un’opportunità.

Ed è proprio il cinema un altro luogo che ha accolto fin dagli esordi la messa in scena del diverso. Un diverso che terrorizza, sia mostro assassino, come i Freaks del 1932 di Tod Browning, bellissimo, nel cartone Biancaneve e i sette nani diretto da David Hand, o un diverso a causa dell’uomo, come il Frankenstein degli anni Trenta di James Whale. A far paura è però la deformità e il cinema inizia a far propria l’idea che la ferocia umana sia l’aspetto più deforme dell’uomo, come ha sottolineato Denis Lotti dell’Università di Padova. È la follia che inizia a spaventare e dal mostro che fa paura si passa al mostro che ha paura, come The elephant man di David Lynch dove il regista sembra chiedere al pubblico: chi è qui il mostro?
La diversità – ci racconta Oliviero Ponte di Pino nel suo intervento – diventa così possibilità incontro tra individui, culture e società, può essere mostrata, vissuta insieme e metabolizzata. Sul filo del rasoio della dispersione teorica il convegno ha accolto anche interventi sulla diversità di genere, con Giuseppe Longo dell’Università di Verona, sulla rappresentazione delle donne nel teatro di Franca Rame con Fabio Francione de “Il Manifesto”, sul disagio psichico con Renata Savo di Scenecontemporanee, sulla riabilitazione e reintegrazione sociale attraverso corsi teatrali dei bambini soldato in Africa grazie a fra Stefano Luca di OFMCap.

Attraverso i più diversi linguaggi e modalità, dal cinema alla storia del teatro passando per neuroscienze e archeologia, in un’ottica di analisi di un teatro in continuo cambiamento, il Laboratorio Olimpico è riuscito ad accogliere una trasversalità di sguardi in grado di restituire un’immagine della diversità tanto sfaccettata quanto completa, anche attraverso i due spettacoli portati in scena venerdì 20.
Nel primo Targato H al Teatro Olimpico, David Anzalone è riuscito a non farsi schiacciare dall’imponente scenografia e a far ridere il pubblico su un argomento solitamente non trattato per timore di cadere nella banalizzazione o nell’offesa. Anzalone parla di handicap e handicappati, ribaltando ogni luogo comune e rifiutando qualunque categorizzazione: ognuno è diverso a modo suo.
In Scarpe di Cuoio di Babilonia Teatri, Carlo Presotto racconta, come un cantastorie, una favola senza tempo che è anche un rito di iniziazione alla vita adulta per i due protagonisti, Leo e Cloe, due bambini, alla ricerca del senso del loro essere diversi.

Camilla Fava