In un dialogo corale a cui ha preso parte tutta la redazione del laboratorio di scrittura critica, abbiamo incontrato il nucleo che ha dato vita al festival Canile Drammatico: la direttrice artistica Rita Di Leo e il comitato artistico composto da Gabriele Anzaldi, Simone Baroni e Giorgia Favoti. Sono i quattro membri del direttivo artistico della Fondazione Federico Cornoni, nata dopo la scomparsa del giovane attore da cui prende il nome per volere dei suoi genitori, Patrizia e Fausto, con l’intento di supportare e aiutare i giovani artisti a trovare una propria collocazione all’interno del panorama teatrale. Le parole del direttivo ripercorrono il progetto a partire dalla sua genesi fino ad approdare alle speranze rivolte verso un futuro diverso, cercando di scardinare, dall’interno, il panorama teatrale italiano.
Da dove viene il nome “Canile Drammatico”?
G.A.: La scelta del titolo, volutamente ironico e punk, è dovuta all’ossessione e l’attenzione di Federico Cornoni nei confronti delle persone libere da ogni guinzaglio, di coloro che non si inseriscono in nessuno schema prestabilito, quelle figure che potremmo definire “cani sciolti”. Il termine “drammatico”, invece, gioca sul concetto di azione e funge da richiamo al contesto teatrale. Queste due parole insieme compongono, evidentemente, una formula contrastante, contraria a ogni aspettativa, eclettica e dissonante, racconta un modo di abitare la scena teatrale che Federico avrebbe sicuramente voluto, e che seguiva nel suo lavoro.
S.B.: Il nome del festival richiama inoltre l’idea del canile sia inteso come luogo di incontro sia di abbandono, volto, però, anche alla speranza dell’adozione. Il titolo del festival non vuole sottintendere un significato politico e rivoluzionario, ma piuttosto un ragionamento sullo status di classe, sociale, traducibile in un senso di appartenenza a certe tematiche che riguardano gli ultimi, chi sta ai margini, chi non trova nessuno spazio e nessun tempo in questo momento storico in cui viviamo.
Come hanno preso avvio i lavori di preparazione del festival? In che modo siete riusciti a mettere insieme i vostri differenti percorsi e le sensibilità artistica di ciascuno?
R.D.L.: Il progetto è nato subito dopo la morte di Federico: i suoi genitori hanno espresso la volontà di creare una fondazione che potesse diventare «un luogo in cui anche gli artisti, che non hanno santi in paradiso, possano dire la loro ed esprimersi», come ha sottolineato sua madre. Non abbiamo deciso insieme di costituire il comitato artistico, non ci siamo scelti – anche se, ovviamente, ci conosciamo tutti da molto tempo –, ma siamo stati chiamati dai genitori di Federico, e questo ci ha messi davanti alla sfida di dover conciliare diverse modalità di lavoro e attitudini per riuscire a collaborare in fase curatoriale e organizzativa.
G. F.: Per questa prima edizione non abbiamo scelto un tema che potesse racchiudere gli spettacoli del festival, ma abbiamo chiamato compagnie e artisti che erano vicini a Federico, creando una comunità di amiche e amici, maestri e persone da lui stimate. Il 16 maggio è l’anniversario della sua morte e abbiamo scelto di dare avvio al festival esattamente un anno dopo la sua scomparsa, per vivere questi giorni in modo diverso da ciò che solitamente accade, per non chiuderci nel nostro dolore, passandoli insieme.
Come avete scelto i luoghi del festival?
G.A.: Abbiamo cercato di entrare in contatto con varie realtà di Parma e di capire quale potesse essere la soluzione migliore anche a livello di spazi teatrali. Speriamo di essere riusciti a creare un modello che possa essere d’aiuto e di ispirazione per artisti e compagnie che lavorano in altre realtà, creando così una rete di collaborazioni.
R.D.L.: Siamo riusciti a offrire ai partecipanti, laboratori formativi gratuiti, che si sono svolti in diversi luoghi teatrali della città: il Teatro Due ha ospitato il laboratorio di drammaturgia tenuto da Gabriele Di Luca e il Teatro Europa – sede del laboratorio di scrittura critica –, è l’unico spazio che ci ha accolti senza conoscere Federico, dando fiducia al nostro progetto e facendoci intravedere possibili collegamenti futuro con altre realtà di Parma. Tutti gli spettacoli invece sono stati messi in scena presso il Teatro al Parco.
Il festival è nato per sostenere gli artisti emergenti nella ricerca di un loro spazio di azione e collocazione: credete possibile un futuro in cui il teatro sarà guidato dai giovani? Come si inserisce il festival nella scena under 35 italiana?
R.D.L.: Ci sono molte realtà che, tramite la dimensione del festival, consegnano la direzione in mano a giovani artisti: come per esempio accade La Spezia, dove Alice Sinigaglia (classe 1996) dirige il festival Tutta la vita davanti o a Ravenna, dove si tiene il festival Radici. Spesso però, nei grandi teatri istituzionali, i nuovi progetti non vengono presi sul serio e le competenze, solitamente dei più giovani, sono messe in discussione. Spero che questo festival possa diventare un esempio rispetto alla possibilità concreta di creare una realtà dove tutti abbiamo modo di trovare il proprio spazio d’espressione e di intervento.
G.F.: Il panorama teatrale italiano pullula di compagnie giovani, di nuove collaborazioni e di gruppi che nascono da un bisogno di collettività e di creazione. La vera difficoltà si situa nel riuscire a vivere di lavori che si collocano nel campo della cultura, ma questo non è un discorso generazionale, anzi, è valido per tutti.
Come immaginate la prossima edizione di Canile Drammatico?
G.A.: Ho chiesto a diversi artisti e artiste qual è la cosa di cui avrebbero più bisogno per dare seguito ai processi creativi realizzati e la maggior parte di loro ha parlato della circuitazione. Perciò, uno degli obiettivi futuri, sarà sicuramente quello di costruire un festival che possa ampliare la circuitazione e creare opportunità di scambio e di lavoro per le compagnie.
R.D.L.: Sarà importante portare avanti l’idea di coralità e di aggregazione presente anche quest’anno aiutata dalla presenza dei dopofestival, capaci di costruire un luogo di scambio e incontro informale che spesso manca in alcune realtà festivaliere. Vorremmo continuare a porci in dialogo con le realtà con cui abbiamo collaborato in occasione di questa prima edizione per consolidarci e strutturarci.
S.B.: Ci piacerebbe strutturare il programma intorno a una linea tematica, quest’anno assente, almeno sulla carta, visto che in realtà poi tutti gli spettacoli proposti hanno delineato una traccia comune, un sottofondo tematico capace di connettere la dimensione del privato a quella del politico.
a cura di Isabella Grassi e Adriana Nuzzachi
in copertina: foto di Marcella Foccardi
Questo contributo è parte dell’osservatorio critico di Canile Drammatico