«Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal». Così inizia il celebre romanzo di Pirandello, in cui il protagonista, per fuggire dai ruoli sociali, si reinventa Adriano Meis, mettendo in crisi un concetto di identità solo apparentemente inscalfibile. Oppure un’immagine: il soggetto sdoppiato in Decalcomania di Magritte, che appare identico nel contorno, ma completamente differente al suo interno – nerovestito nel primo caso, azzurro come le nuvole e il mare nel secondo. La letteratura e le arti attraversano da sempre il tema del doppio, tra i giochi dell’identità e la consapevolezza che ogni individuo può contenere moltitudini. Non stupisce che oggi, in un mondo dominato da avatar e realtà virtuali, la questione torni a deflagrare anche tra gli artisti più giovani. È il caso di Gaetano Palermo (catanese, classe ’98), e del suo Swan vincitore nel 2023 del bando per Performance Site-Specific della Biennale Teatro. La performance ha non a caso tra i suoi riferimenti La doppia vita di Veronica del regista polacco Krzysztof Kieślowski; eppure la figura protagonista (la performer Rita Di Leo) non vanta il lusso di un alter ego che vive la vita pienamente, senza freni, fino alla morte – come accade a Weronika – quanto piuttosto un io allo specchio dei social network.
Swan riesce, nel breve arco di una mezz’ora, a occupare e trasformare gli spazi pubblici della città dove viene presentato; la ricerca di Gaetano Palermo, infatti, si orienta verso un teatro capace di entrare in rapporto con le comunità, anche attraverso l’uscita dalle sale teatrali, in una dimensione pienamente pubblica.
In occasione del festival Tutta la vita davanti. Festival di teatro per vecchi del futuro, curato da Alice Sinigaglia per gli Scarti a La Spezia, la performance è stata proposta in un campetto da basket, a pochi passi dal cantiere creativo il D!alma che ospita la stagione di Fuori Luogo.
E così, in quel campetto circondato da alberi e case, mentre Rita di Leo, con indosso una maschera e una parrucca, volteggia magistralmente sui pattini, si affacciano gli abitanti del quartiere dalle finestre, si fermano i passanti e i bambini, che prima giocavano proprio in quel luogo e non volevano lasciarlo. Basta qualche minuto di spaesamento e di commenti: poi anche i bambini sono seduti, tra gli altri spettatori, in silenzio.
Una pellicola «di pure emozioni»: così definiva Kieślowski, nel 1991, il suo stesso film La doppia vita di Veronica; e lo stesso obiettivo sembra avere guidato Gaetano Palermo nella sua composizione, grazie anche alla musica, colonna sonora della pellicola e della performance, composta da Zbigniew Preisner.
L’azione è potente nella sua semplicità: la pattinatrice si allena e si mostra durante una live social, ma improvvisamente una sequenza di spari ripetuti spezza il silenzio, e a ogni tuono la protagonista cade a terra. L’azione reiterata del crollo fa riverberare i due riferimenti dichiarati da Palermo: oltre al film di Kieślowski (dove Weronika crolla a terra al termine di un concerto), il coreografo cita e ripensa il celebre balletto coreografato da Michel Fokine nel 1901 per Anna Pavlova. La perfezione si rompe, Di Leo lentamente perde la parrucca, si sporca di terra e si ferisce, imbrattandosi di sangue; come nel celebre balletto, anche in questo caso quell’essere perfetto, immacolato, ossia il cigno, si macchia.
Assistiamo al crollo senza intervenire, esattamente come chi osserva attraverso uno schermo una diretta che sfugge di mano, complici di non aver mai aiutato la performer a rialzarsi e quindi carnefici. Eppure sarebbe bastata solo una mano tesa; invece, accettiamo il sacrificio altrui espiando il nostro essere spettatori, partecipi dell’implacabile ingranaggio sociale che non contempla il fallimento e l’empatia. Forse non tutti ricordano che il celebre assolo de La morte del cigno fu estratto da Fokine da una più ampia composizione di Camille Saint-Saëns (1886) dall’esemplificativo titolo Il carnevale degli animali. È dunque un’intera collettività animalesca quella che si traveste per apparire, in un costante carnevale di auto-promozione, maschere, nascondimenti. Non resta allora che lasciarsi morire, sperando di rinascere come fenici dalle proprie ceneri in una forma più vera e pura: mentre nel campetto tutti applaudono, la performer si rialza sulle sonorità pop di Hung Up di Madonna e sorride. Finalmente senza maschera.
Francesca Rigato
immagine di copertina: ufficio stampa
di Gaetano Palermo
con Rita Di Leo
sound design Luca Gallio
direzione tecnica Luca Gallio
assistenza e cura Michele Petrosino
organizzazione e distribuzione Arianna Di Bello
amministrazione KLM – Kinkaleri, Le Supplici, mk
prosthetics Crea Fx
produzione La Biennale di Venezia
con il supporto di Casa della cultura Italo Calvino, H(ABITA)T – Rete di Spazi per la Danza, Associazione QB Quanto Basta progetto vincitore di Biennale College Teatro – Performance Site-Specific e di Danza Urbana XL