Gioiosa et Amorosa, per gli amici GeA, è il festival di teatro contemporaneo ideato e realizzato da un gruppo di giovani professionisti del campo con l’obiettivo di portare una ventata d’arte fresca a Treviso. Già alla sua seconda edizione può contare all’appello più di trenta appuntamenti tra spettacoli, incontri e laboratori. Di questi dieci giorni, un fil rouge sembra legarne le tracce: lo spazio pubblico nelle sue infinite modalità di occupazione.
Una prima proposta in questa direzione è costituita dallo Spirito del Teatro, la promenade spettacolare nei meandri del Teatro Mario Del Monaco, progetto ideato e poi recitato da Alex Cendron, la cui voce figura insieme a quelle degli altri membri del Comitato Teatro Treviso, gli stessi giovani organizzatori del festival. Muniti di cuffie WiFi, ci si addentra tra camerini nascosti e raffinati palchetti, passando nella totale oscurità del golfo mistico, arrivando infine in platea: è qui, mentre si prende posto, che si percepisce nelle voci-chaperon un certo turbamento condiviso a proposito di quanto sta avvenendo in scena. Alzando lo sguardo scorgiamo così il video di una donna svestita, esausta, seduta in una sofferente solitudine. Quando sul palco due attrici avanzano allo scoperto, ciò che dicono risulta inintelligibile attraverso le cuffie WiFi. Diviene allora chiaro come effettivamente si stia assistendo alle prove di un altro spettacolo, incardinatesi apparentemente per puro caso all’interno della logica della performance itinerante. Un momento di sincronicità che va a rivestire il luogo di un inatteso contenuto semantico.
Lo spettacolo in questione, Dentro Emilia, nasce dalla vittoria della compagnia Le Notti al bando RADAR 2018, promosso da ERT. La pièce indaga il fenomeno dello sfruttamento sessuale lungo la via Emilia, crocevia di traffici economici oltre che di attività illegali. E in quest’ottica, in uno degli spazi di dialogo con gli artisti che hanno costellato il festival, raccolti sotto il titolo ciacoliAMO, i performer hanno raccontato delle ronde notturne esperite a fianco dei volontari dell’associazione Via Libera, quando si sono trovati ad interagire con donne di ogni età e provenienza, le cui speranze per un destino migliore in Italia furono sfruttate dalle organizzazioni criminali per assicurarsi un corpo in più su cui lucrare. Stralci biografici, questi, che la compagnia ha poi rielaborato in un progetto drammaturgico di gruppo, con l’intenzione di dare voce alle storie in un caleidoscopio di identità meticce. L’impianto della messinscena è essenziale, la scenografia spoglia lascia che siano le fisicità delle attrici il fulcro totale della rappresentazione. Gli immancabili tacchi, un pellicciotto e poi una giacca a vento connotano i personaggi che via via si susseguono sul palco, in un affresco camaleontico di attitudini alla sopravvivenza. A mostrarsi è una realtà senza filtri, che si avvale di un’ironia spiazzante quanto raggelante nella sua cruda, pragmatica visione del mondo. Il respiro delle attrici, regolato con violenza da movimenti bruschi e improvvisi, risuona nella vacuità della scena per poi spegnersi in un afflato sospeso tra il giorno e la notte. Questa è la via Emilia, una zona di frizione, dove al calare del sole un mondo nitidamente regolato lascia il posto a una realtà sotterranea, nascosta, sofferente, in una ciclica rincorsa senza sosta.
Una coabitazione problematica, in cui uno stesso luogo cambia radicalmente a distanza di poche ore. Chi decide come deve essere occupato? Cosa succede se ce ne si appropria? Quanto è realmente libero lo spazio pubblico?
Su queste domande si è interrogata l’artista bosniaca Smirna Kulenović, prima presenza internazionale al festival con la sua promenade-performance Umwelts. Una parte consistente della ricerca artistica di Kulenović attinge da situazioni di repressione politica nella storia recente, per sviluppare un discorso di riappropriazione culturale e comunitaria dello spazio pubblico; così si era mossa per Dobre Kote (2015) e Il nostro giardino di famiglia (2021), e su questa stessa direttrice si colloca anche Umwelts. Nello specifico, a costituire il contesto di partenza dell’ultimo progetto è la crisi dei migranti del 2016 in Bosnia-Erzegovina, nell’area di Bihać, al confine con la Croazia. Racconta Kulenović, in un altro dei ciacoliAMO del festival, che diversi immigrati furono prelevati dalla città e abbandonati in un campo abitato da cinquecento pecore e un solo pastore, il quale riuscì tuttavia a instaurare un contatto con i nuovi arrivati attraverso la cura degli animali. Da qui l’idea di riportare una pecora-simbolo all’interno della città, il luogo dal quale gli immigrati furono estirpati, e lasciare che si aggiri in libertà. Il titolo riprende la definizione del biologo Jakob von Uexküll di “Umwelt”, ovvero un ambiente fisico, emotivo e semiotico condiviso da specie diverse. La creazione – che si sviluppa a partire dal Teatro Mario Del Monaco e giunge fino alla cerchia muraria urbana – raggruppa così una pecora, gli spettatori e il performer in un’unica comunità di democratica imprevedibilità, in cui l’animale si fa portatore di un rinnovato atteggiamento istintuale nei confronti della realtà cittadina. L’interesse di Kulenović qui verte sulla manifestazione spontanea, lo slancio che inevitabilmente porta alla scoperta di un ulteriore significato: così, con l’irruzione della pecora in un locale trevigiano va a crearsi un happening liminale a cavallo tra spazio urbano e spazio naturale.
Lo spazio pubblico si fa scena privilegiata per un incontro volto alla riscoperta dell’altro, al ripensamento dell’idea di coabitazione, in cui ognuno è parte di un collettivo di diversità, per un festival che fa dell’accoglienza la propria cifra stilistica.
Harriet Carnevale
Perché il teatro cessi di imboccare binari morti dobbiamo noi per primi dirottarlo e preferibilmente impossessarcene.
Partono da qui gli undici trevigiani d’eccezione che compongono la direzione di GeA: sono giovani e giovanissimi, tra artisti e organizzatori del mondo dello spettacolo. Ad avvicinarli l’allontanamento inaspettatamente comune dalla città d’origine – si conoscono per la maggior parte in previsione del festival, senza sapere quanto affini potessero essere i loro percorsi – percepita come troppo ancorata alle sue abitudini; una scelta che è stata per tutti occasione d’incontro con il teatro contemporaneo e i suoi grandi, evidente nella collaborazione tra la regista Francesca Merli e Antonio Latella o nel rapporto attore-regista tra Ruggero Franceschini e Luca Ronconi.
Investendo gli spazi e le strade di Treviso con energia autentica e senza precedenti, gli allestimenti, le prove e le performance inquadrano così il significato del ritorno a una patria che fino ad allora ha parlato una lingua diversa dalla propria. Per Miriam Russo di GeA è uno slancio verso radici che non accolgono la loro identità, che non rappresentano l’esigenza d’espressione delle nuove generazioni; ma è anche un modo per fissare l’importanza di una terza opzione alle alternative del teatro provinciale veneto, costituita esclusivamente da una programmazione tradizionale e dai laboratori di recitazione.
Non è tuttavia un discorso che si ferma a quelle che Bene definiva “quattro mura di cemento armato”. Si inizia proprio dalla città per offrire l’occasione di lavorare sull’appartenenza: la superficie di Treviso, sufficientemente concentrata da rendere tutto a portata di mano – o meglio, di passo – appare come un piccolo cosmo che si lascia facilmente coinvolgere dagli eventi urbani. Ecco che il simbolo rosato di GEA (una versione della Fontana delle Tette a cui è stata aggiunta una maschera dionisiaca) sembra farsi onnipresente, fissando un’iconografia chiara e destinata a rimanere anche oltre i tempi e gli spazi del festival. Da notare come i cartelli e poster che ne derivano non sono solamente una cornice atta a descrivere le coordinate di spettacoli e incontri con gli artisti, ma codificano un’idea estetica che vivifica la necessità di un rinnovamento integrandosi all’apparato civico. In altre parole, un costante dialogo con gli edifici storici, che si articola in contenuto narrativo oltre le porte del Mario Del Monaco: ecco che con Spirito del Teatro Alex Cendron mira a costruire nuova coscienza e nuova storia partendo dai racconti di un luogo altrimenti sconosciuto ai più, che anzi si sorprendono di scoprire uno Stabile tra le vie centrali della città. L’immagine di teatro narrata rimane a fine promenade come intimo insegnamento per una popolazione, prima che per un pubblico; e si indica così la presenza di un luogo, tra le viscere di Treviso, in cui poter ancora investire a favore di tutti o, usando le parole di Cendron, «un buco, dove la chiave della vita si infila e gira, gira, gira…» fino a far sentire un gruppo di cittadini una comunità.
Appare allora riuscita la centralità di gioia e amore: la messa in discussione dell’identità culturale di Treviso trova infatti il suo doppio in quell’euforica fluidificazione di generi e sentimenti che percorre tutti gli eventi del festival. Ne è un bell’esempio l’esperienza proposta durante il workshop drammatizziAMO, che ha condotto soggetti di ogni età a scrivere di epifanie di amori per porli al centro dei processi drammaturgici; e anche il taglio critico e autoriale adottato dalla direzione GeA nella scelta delle performance sottolinea la volontà di avere un palinsesto che riflettesse coerentemente sul binomio. Telenovela (produzione scritta dall’outsider Riccardo Favaro, a sua volta trevigiano, e diretta da Ruggero Franceschini, Francesca Merli e Davide Strava di GeA) offre a tal proposito l’occasione di formulare un discorso sull’afflato liberatorio di una femminilità in rivolta, che ci invita a ripensare a come potrebbe essere una nuova interazione – unificante e risanata – con le figure maschili. Se quindi si tratta di una teorizzazione che coinvolge anche molti degli artisti invitati, interessa particolarmente l’abbondanza di esiti formali che vengono adottati per parlarne: si pensi nello specifico all’intento documentaristico di Dentro Emilia (creazione Le Notti), alla metallicità visiva de Il canto della caduta di Marta Cuscunà o ancora al fluire di linguaggi ne Le Gattoparde delle Nina’s Drag Queens. Tale collage di stili è inevitabilmente il frutto di un’operazione dal forte impatto sociale.
Le immagini che ne derivano si trasformano in uno strumento volto a introdurre la provincia al contemporaneo, legandosi a quel Mad(r)e in Italy che fa da sottotitolo al festival: come il teatro italiano possa iniziare a essere guardato non solamente in funzione delle grandi città, ma all’interno di un’ottica plurale e decentralizzata.
Leonardo Ravioli
in copertina: Umwelts, foto di Tommaso Girardi
SPIRITO DEL TEATRO
di Alex Cendron
con le voci di Angelo Callegarin, Alex Cendron, Irene Curto, Ruggero Franceschini, Giacomo Martini, Francesca Merli, Miriam Russo, Laura Serena, Samantha Silvestri, Davide Strava, Marta Vianello
produzione Teatro Stabile del Veneto, Comitato Teatro Treviso
DENTRO EMILIA
con Flavia Bakiu, Alessandra Beltrame, Alice Gera
regia e drammaturgia Le Notti: Flavia Bakiu, Alessandra Beltrame, Nicolò Collivignarelli, Alice Gera, Nico Guerzoni, Claudia Russo
coordinamento regia collettiva Claudia Russo
collaboratrice alla drammaturgia Daniela Arrigoni
scene, suono e costumi Le Notti
video (live ed editing) Alessandra Beltrame
disegno luci Giorgio Gagliano
si ringrazia l’associazione Via Libera
UMWELTS
di e con Smirna Kulenović