Scesa da un treno regionale sicuramente in ritardo, mi trovo nella stazione di Campo di Marte. Se non si è fiorentini, quando si pensa alla città ci si immagina Santa Maria Novella, non certo Campo di Marte: si crede di uscire da una stazione e vedere una chiesa, qualche cupola che sbuca, dei negozi. Per chi non è di Firenze un quartiere residenziale come quello in cui si svolgerà Officina Critica è del tutto sconosciuto, forse poco attrattivo. Fuori dalla stazione, inizio così una lunga camminata in via Mannelli, proprio a lato dell’alto e imponente muro che costeggia la via dei treni. Secondo Maps ci vogliono ben 16 minuti a piedi per arrivare in via Giovanni Lanza 64/a, dove si trova Il Lavoratorio, sede di Officina Critica. Un’officina, in un laboratorio: di che si tratta? A me è sembrata l’occasione perfetta per mettersi alla prova: un workshop di critica teatrale, dove si guardano gli spettacoli, si discute e si scrive la propria opinione. Tutto ciò avviene in compagnia di altre undici persone, pronte a imparare le une dalle altre. 

Un passo dopo l’altro, su un marciapiede stretto, mi avvio verso Il Lavoratorio noncurante della pioggia di fine settembre. La camminata è un crescendo di curiosità e di eccitazione, come ogni volta che ci si dirige verso un’esperienza desiderata, diversa dal solito. L’idea di confrontarmi con gli altri partecipanti di Officina in parte mi intimorisce, come può intimorire la prospettiva di mettersi alla prova, dover dire la propria ed essere pronti ad accettare critiche e disaccordi. Officina Critica è però anche conoscere persone nuove, vedere nuovi spettacoli, sentire nuove storie.

La camminata prosegue in via Mannelli, sotto il cavalcavia dell’Affrico e, con uno slalom tra le macchine, lungo uno stradone che su Google Maps compare con tre diversi nomi. A questo punto secondo il telefono mancano pochi minuti: si tratta soltanto di attraversare via Rattazzi ed entrare in via Giovanni Lanza. Trovare dove sia il 64/a è un’altra questione: tra numeri civici rossi e neri la confusione è facile, ma Il Lavoratorio ha un aspetto inconfondibile. Un grande portone marrone di ferro, con un piccolo campanello al lato e una targhetta: quale altro posto per fare arte? A primo impatto infatti la sede stride con gli altri edifici nella via: ci sono palazzi e negozi, tutte grandi costruzioni residenziali, che si innalzano su diversi piani. Il Lavoratorio invece ha un solo piano, un vecchio cancello che contrasta con gli ampi portoni dei palazzi, crea suggestione e fascino. 

Arrivata a questo punto l’unica cosa che resta da fare è suonare il campanello e aspettare che qualcuno venga ad aprirmi: è così che mi immergo nell’ingresso, arredato con cura e accogliente, ancora di più dopo il caffè caldo offerto a tutti da Andrea Macaluso, il direttore dello spazio. Il Lavoratorio era prima un luogo per lavorare la pelle; vederlo così oggi rende quasi impossibile pensare che avesse un’altra vita, totalmente diversa da quella di ora, ma se ci si sofferma sulle pareti, sugli infissi o sui soffitti è lì che si notano le tracce di una storia passata, conservata nei dettagli. Il Lavoratorio è rimasto uno spazio d’arte – dalla pelletteria al teatro – e si ha l’impressione che il passato e il presente dialoghino e siano in continuità. Il lavoro di Officina Critica avviene intorno a un grande tavolo. Cos’è Officina Critica? Cosa significa fare critica? Cosa succede quando andiamo a teatro? Perché ci andiamo? È qui che prendono forma le opinioni di ogni membro del gruppo. 

Maria Vittoria Braschi


foto di copertina: Greta Merletti

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Officina Critica