Che cosa significa essere una compagnia giovane a Milano?

La Lucina
È difficile, è difficile, è difficile. In più noi siamo una compagnia di otto persone, che devono mangiare e pagare gli affitti. È difficile inserirsi a Milano in questi anni. Ma siamo fiduciosi, perché intorno a noi e ai nostri progetti stanno iniziando a ruotare persone interessanti: non solo Antonio Moresco, ma anche Maria Consagra, Nicola Samorì… Questo spettacolo infatti è il punto di partenza di una quadrilogia che vedrà delle importanti collaborazioni. Ma è comunque molto difficile trovare il proprio spazio nel panorama teatrale.

Aronica/Barra
Daniele Turconi – Non vogliamo sembrare antipatici, ma secondo me a Milano non succede proprio niente. È la città dove credi molto facilmente che stanno accadendo un sacco di cose, ma in realtà non sta accadendo nulla. Un tizio mi ha detto una volta questa cosa geniale: stava facendo un’inquadratura dal palazzo della regione e mi diceva che, nonostante stesse inquadrando Milano da venti minuti, non succedeva niente. “Vado a Roma mi metto a Testaccio, faccio un giro a caso di dieci minuti ed è bellissimo. Vado a Milano e non c’è niente”.
A. – In realtà noi stiamo dicendo questo in una rassegna che ha creduto in noi. Forse è il nostro pessimismo cosmico da Quarto Oggiaro: tutti ci vogliono male, ma in realtà non è vero.

Diapason
Milano è la città in cui abbiamo studiato. Qui siamo andati a teatro e ci siamo formati. È però la prima volta che andiamo in scena a Milano e per noi è una grande sfida. Una sfida innanzitutto con il pubblico, che è un pubblico preparato e quindi un avversario, in qualche modo, temibile, ma in senso positivo. Anche se il nostro spettacolo venisse fischiato sarebbe comunque un riscontro importante, per noi. Un riscontro reale.

La ballata dei Lenna
Sicuramente a Milano c’è più possibilità di far vedere il proprio lavoro; si cerca di fare teatro bene e ovunque, e a noi piace esibirci sempre, in ogni luogo. Però qui c’è più possibilità di incontrare operatori e persone del settore, e il pubblico è più numeroso. Il nostro è un mestiere difficile, ma non a Milano più che altrove: lo è in tutta Italia.

HORS: House of the Rising Sun. Cosa vi aspettate di trovare dentro questa casa? Cosa significa, per la vostra compagnia, avere uno spazio d’espressione dentro un luogo dove “il sole è nascente”?

La Lucina
Siamo trattati seriamente il che non è scontato e poi è un’iniziativa importante anche dal punto di vista politico. Siamo contenti di partecipare a una scelta così forte, dato il panorama di adesso, fatto sempre dagli stessi nomi… ma non vogliamo fare polemiche!

Aronica/Barra
A. – Se non ci fosse stata la possibilità di HORS, dal punto di vista pratico, avremmo dovuto affittare una sala, magari senza luci, e sarebbe costata tantissimo. Avremmo dovuto fare promozione. Invece qui siamo ospitati, riceviamo consigli, abbiamo un contratto, ci vengono dati diritti tutelari. È un’occasione incredibile.
D. – Questa purtroppo non è la norma. Sono le cose più pratiche che ci commuovono. Scommettono su di noi, ci chiedono come vogliamo essere comunicati, si fidano di noi. Questo fa la differenza. Quello che manca in questo momento a Milano è l’attenzione al valore di una cosa che ha sempre avuto un forte ruolo sociale. Se al teatro togli il pubblico togli anche la possibilità di esistere. E allora cominci a farti delle domande e ti chiedi: ma io cosa sto facendo?
A. – Nei momenti di angoscia e pessimismo mi dico che oggi il teatro è come le videocassette. A un certo punto le cose muoiono: non ci sono più quelli che vendono le videocassette, siamo passati ai dvd. Ma ormai fanno i computer senza l’ingresso del cd, e sei comunque fregato. Forse, penso ogni tanto, il teatro è cosi, e noi ci intestardiamo per una cosa che deve morire. Ma una volta ho letto una frase di Danio Manfredini che mi dà da pensare: “Fosse anche come ci si dice che il teatro è destinato a sparire, ci tocca dare luce al tramonto. Sarebbe comunque un privilegio glorificare un momento come quello del tramonto, così vicino al buio.”
B. – Cioè se dobbiamo andarcene andiamocene, ma con stile.

Diapason
Non abbiamo avuto spesso occasione di espressione in questi anni, abbiamo fatto molta fatica a portare in scena i nostri spettacoli in condizioni ottimali. HORS è un’occasione unica, perché, anche se giovani, veniamo trattati da professionisti e non è una cosa scontata. Ci viene data la possibilità di lavorare e, in effetti, è di questo che hanno bisogno le compagnie giovani: di lavorare e di andare in scena, perché è solo andando in scena che si capiscono determinate cose. Inoltre abbiamo trovato una bella atmosfera e tanta disponibilità. Abbiamo potuto rivoluzionare la sala, aprire porte che non venivano aperte da anni. Ci siamo sentiti liberi.

La ballata dei Lenna
Per noi è molto importante incontrare chi fa il nostro stesso mestiere. Ci interessa moltissimo dialogare con le compagnie più giovani, e anzi ne sentiamo profondamente la necessità: non si può fare arte senza guardarsi attorno, e le nuove leve sono il miglior terreno di osservazione e di indagine per capire cosa sta accadendo. È l’unica vera opportunità di portare un teatro nuovo sulla scena, il che poi coincide con il “fare” teatro, che non può essere altro che “nuovo”. Ad esempio, bisogna tenere in conto che oggi gli spettatori hanno una qualità di attenzione diversa da altri momenti storici, e creare di conseguenza, esplorando nuove modalità.

Che cosa può dare il vostro spettacolo a uno spettatore giovane? E a uno più anziano?

La Lucina
Le generazioni diverse dalla nostra sono quelle che hanno apprezzato di più lo spettacolo, ma non sappiamo bene spiegarci il perché. Pensavamo di mettere in scena qualcosa di molto contemporaneo, che potesse interessare soprattutto uno spettatore giovane. Nello spettacolo c’è un ragionamento sulla visione, sul tipo di sguardo che si deve avere come pubblico. Abbiamo deciso di non offrire allo spettatore un unico focus, ma di prendere la condizione contemporanea e lavorare su un continuo stimolo, quasi una “sovrastimolazione”. Pensavamo quindi di piacere molto di più ai giovani, mentre questi dopo aver visto lo spettacolo ancora ammutoliscono. Teste un po’ più vissute hanno riconosciuto invece qualcosa di nuovo.

Aronica/Barra
B. – È uno spettacolo che parla a tutte le età: secondo me ai meno giovani arriverà di più il contenuto. Lo spettacolo permetterà loro di viaggiare nei ricordi o all’interno di se stessi, e porsi la domanda che ci facciamo anche noi. Ai più giovani arriverà la freschezza, il divertimento.
A. – I riferimenti culturali che abbiamo integrato sono trasversali. Però, al di là dell’età, conta tanto il pregiudizio che uno spettatore ha quando va a teatro: c’è il ragazzo di vent’anni che si aspetta il grande attore di fine Ottocento perché a scuola gli è stato insegnato questo. Poi vede due sbarbati che fanno ridere e dice “questo non è teatro”. Nessuno può sapere con certezza cosa viene recepito.
D. – Potremmo parlare di qualsiasi cosa, ma innanzitutto il pubblico si trova di fronte due attori vestiti di giallo e rosso. Questo dal punto di vista del linguaggio non può avere un’età e il pubblico apprezza un’ora di spettacolo che arriva al di là delle conoscenze a cui si fa appello. Mi è capitato qualche volta che alcuni miei amici siano venuti dall’estero a vedere un mio spettacolo. Non capivano niente, ma ridevano semplicemente per come muovevo le mani, per gli sguardi, la complicità. È questo che ti salva dalla paura di non vendere e di avere la sala vuota. Dentro di te speri sempre in un pubblico di quindici milioni di spettatori, ma non è così. Quindi bisogna cominciare da un altro punto di vista, quello di creare una cosa bella. La vedono in venti? Magari la seconda volta la vedranno in quaranta. Non vengono? C’è un problema, e allora si ragiona su come risolverlo. È così che ci si arrangia. Siamo come Sisifo che spinge eternamente il masso in cima al monte, ma seguiamo la via di Camus: cerchiamo di immaginarci Sisifo felice. 

Diapason
In realtà tutti noi condividiamo un’idea di teatro non settoriale. Preferiremmo non pensare a un target, proprio perché in Nemici per la pelle cerchiamo di parlare dell’esperienza umana in tutte le sue forme, e pensiamo che questo, potenzialmente, possa toccare chiunque, indipendentemente dall’età. Forse a un pubblico giovane potrebbe interessare la scelta artistica che stiamo portando in scena e l’esperienza di essere a così poca distanza da noi. Speriamo sempre che alla fine le domande che ci facciamo mentre recitiamo risuonino anche in chi ci guarda. Invece un pubblico un po’ più grande potrebbe essere attirato dalla storia, perché c’è molta nostalgia.

La ballata dei Lenna
Abbiamo avuto occasione di testare l’impatto del nostro lavoro sul pubblico del Festival Castel dei Mondi di Andria: in questa occasione ci siamo esibiti di fronte a mille spettatori di tutte le età, dai ragazzini a persone di cinquanta e sessant’anni. Indagando cosa sia rimasto del nostro spettacolo al pubblico abbiamo ottenuto risposte sono state molto diverse, la versione dei padri e la versione dei figli. Il paradiso degli idioti ha avuto un impatto trasversale, ha connesso generazioni distanti di cui noi rappresentiamo la fascia intermedia, ha aperto un dialogo laddove c’era incomunicabilità.

A cura della redazione di HORS in progress