cinque testi di Tim Crouch
Accademia degli Artefatti
visto al Teatro i di Milano _ 12-20 dicembre 2016

Quanti punti di vista può avere una storia? Tanti: almeno quanti sono i personaggi che la abitano. Eppure, per comodità o consuetudine, per chiarezza narrativa o senso drammaturgico, solitamente si tende a privilegiare esclusivamente quello del protagonista, a cui si affida l’egemonia prospettica del racconto. E quando ci si accosta a questo punto di vista, è difficile tener conto anche di tutti gli altri che compongono la storia. Non la pensa però in questo modo Tim Crouch, che nel rielaborare cinque opere tra le più note di Shakespeare, sceglie proprio lo sguardo inusuale di quei personaggi minori, lasciati in disparte dal Bardo, e getta nuova luce su vicende e narrazioni che si credevano ormai assodate.

È questo il cuore del progetto “I, Shakespeare” che l’Accademia degli Artefatti – ormai un’habitué della nuova drammaturgia inglese – ha importato sui palchi italiani da alcuni anni e proposto ora al Teatro i di Milano: diretti da Fabrizio Arcuri, i personaggi di Crouch/Shakespeare danno vita a una carrellata inaspettata, irriverente e del tutto in soggettiva capace di immettere nuova linfa nell’opera del Bardo.

Ecco allora che, in Io, Fiordipisello, dopo i festeggiamenti per i matrimoni che chiudevano il Sogno di una notte di mezza estate, prende parola è proprio Fiordipisello: il bistrattato folletto al servizio della regina Titania, al quale nell’opera erano dedicate solo due laconicissime battute, qui si prende una rivincita di celebrità. E coinvolge direttamente il pubblico portandolo sul palco, così come farà anche, in Io, Banquo, il condottiero ucciso da Macbeth che, rivolgendosi agli spettatori come fossero i suoi carnefici, li ossessiona con il proprio fantasma.

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Io, Fiordipisello (ph: Michele Tomaiuoli)

Dell’opera considerata l’addio alle scene di Shakespeare, La Tempesta, Calibano non è propriamente un personaggio secondario, ma rappresenta il diverso, l’altro, il mostro deforme mosso da istinti animali e perciò punito dal temibile Prospero, regista dell’intera vicenda. In Io, Calibano, invece, un convincente Fabrizio Croci dà corpo e voce a un selvaggio finalmente libero d’essere tale: l’isola è di nuovo sua, popolata solo da se stesso e dalle sue marionette, salvagenti gonfiabili per bambini, pupazzi molesti animati dalla sua fantasia. Si tratta, a conti fatti, di un rimedio contro una solitudine tanto desiderata quanto straziante. Perché questo ci dice il Calibano di Crouch: si rincorre la libertà con tutte le proprie forze, si cercano di evitare vincoli e promesse, ma la libertà che cerchiamo non è in fondo rimanere da soli? Che si tratti di un’istantanea sul colonialismo e i suoi riflessi sulle realtà occupate e usurpate da un’ipotetica superiorità civile o che sia, più semplicemente, una riflessione sui sentimenti e i bisogni di ciascuno, questo Calibano rende protagonista l’emarginato, il bistrattato, la rabbia e la disperazione di chi, reso schiavo sulla propria isola, è stato relegato a modello negativo.Il Calibano di Crouch non rappresenta forse il lato più oscuro dello stesso Prospero? Colui che ora, abbandonato a se stesso e ai suoi vani sogni, tenta di dar vita a una nuova razza, a un nuovo mondo.

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Io, Calibano (ph: Ilaria Costanzo)

Ma prima di concludere questa sfilata con la lettura scenica di Io, Malvolio, il servo de La dodicesima notte grottescamente innamorato della propria padrona e qui finalmente vendicatore dei torti subiti, I, Shakespeare passa per la poesia e il qui pro quo. Già, perché dal Giulio Cesare shakespeariano prende vita – in Io, Cinna – il poeta che fu sgangherato e confuso testimone dell’assassinio di Cesare, dittatore dispotico per alcuni e illuminato per altri, politico geniale o senza scrupoli, uomo valoroso o meschino.

Il Cinna interpretato con spirito e brio da Gabriele Benedetti parla di sé come di un vigliacco, amatore delle parole più che delle azioni, tormentato dai suoi sogni e déjà-vu. Una di quelle persone con il rovinoso talento di essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato: uscito in strada per partecipare alla Storia nel giorno dell’atroce assassinio, viene scambiato per il congiurante console Lucio Cornelio Cinna e ucciso. Ma, a differenza del suo corrispettivo shakespeariano , il Cinna di Tim Crouch, una volta inscenata la propria morte, chiede al pubblico di partecipare al suo dramma e di comporre, in soli tre minuti, una poesia dal titolo “La morte di Cinna”. Per scrivere bisogna seguire il flusso dei propri pensieri, ci ricorda il poeta, e per farlo occorre essere liberi. Nuovamente, la libertà. E quanto vale la libertà che possono dare le parole? Si può combattere con le sole parole? E soprattutto, si potrà vincere per mezzo di esse? A ogni spettatore il compito di prendere posizione, e di prendere parte a questo dramma dal sapore bizzarro e sorprendente. Ognuno esprime sulla carta le proprie percezioni, sotto forma di parole che non hanno il tempo d’essere controllate. Cinna il poeta s’avvicina, sceglie casualmente uno scritto e legge:

Cinna per Cinna
Cinna per Cesare
Cinna per penna
Penna che scrive
Penna che muore
Per un sogno
Per parole
Per la libertà che resta
Qui.

L’operazione che Tim Crouch fa con questi cinque testi non è altro che quella di giocare con una realtà certo inventata, ma possibilissima: è così che si viene a creare un gioco di eguaglianza intelligente e provocatorio, fatto di universalità, di temi senza tempo, condotto attraverso l’uso dello straniamento e della sperimentazione ludica del senso etico.
Un gioco in cui si evidenzia la responsabilità di ognuno, costruendo un rapporto spettatore-attore dove il pubblico viene coinvolto totalmente, l’improvvisazione si affianca al testo autoriale e i “minori” vanno alla ribalta a dispetto delle convenzioni. E con semplici quanto efficaci monologhi dalle molteplici possibilità, si concretizza un’inevitabile riflessione sull’oggi e sulle potenzialità del teatro contemporaneo.

Giulia Maria Basile

 

IO, FIORDIPISELLO
da SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
di Tim Crouch
traduzione Pieraldo Girotto
regia Fabrizio Arcuri
con Matteo Angius e Fabrizio Arcuri
produzione Accademia degli Artefatti

IO, BANQUO
da MACBETH
di Tim Crouch
traduzione Pieraldo Girotto
regia Fabrizio Arcuri
con Enrico Campanati e Matteo Selis
produzione Fondazione Luzzati – Teatro La Tosse di Genova

IO, CALIBANO
da LA TEMPESTA
di Tim Crouch
traduzione Pieraldo Girotto
con Fabrizio Croci
regia Fabrizio Arcuri
produzione Accademia degli artefatti, L’Uovo Teatro Stabile d’Innovazione onlus

IO, CINNA (IL POETA)
da GIULIO CESARE
di Tim Crouch
traduzione Pieraldo Girotto
con Gabriele Benedetti
regia Fabrizio Arcuri
produzione Accademia degli Artefatti, CSS Stabile di Innovazione del FVG

lettura scenica
IO, MALVOLIO
da LA DODICESIMA NOTTE
di Tim Crouch
traduzione Pieraldo Girotto