Un fischio apre la visione a un palco completamente nudo, spogliato di qualsiasi oggetto. I quattro danzatori (Fabio Caputo, Sara Cavalieri, Cecilia Francesca Croce, Filippo Porro) entrano in scena, come fossero scaturiti dallo stesso suono che poi andrà a chiudere nel finale il tempo della performance. Ognuno di loro occupa lo spazio individualmente, muovendosi secondo sequenze che però appaiono in qualche modo incomplete: è una danza intimista fatta di gesti troncati, in cui l’evitarsi a vicenda sottolinea ulteriormente la mancanza di complicità negli sguardi. Persino la musica è assente, solo lo strusciare dei piedi nudi marca il passaggio dei quattro corpi alienati. La loro chiusura si estremizza in un appallottolamento al suolo, una mossa all’unisono, in cui le quattro individualità distinte, codificate per colori e taglio del costume, cadono tutte nel medesimo istante.
È tema dell’identità, così come emerge fin dai primi movimenti in scena, il perno sul quale poggia la trilogia Io è un altro, di cui Idem, in prima nazionale al festival MilanOltre, costituisce il primo capitolo. Il lavoro della Compagnia Abbondanza/Bertoni sembra proprio fare leva sul rapporto del singolo con gli altri corpi nello spazio, in cui il bisogno dell’altro rivela a ciascuno la propria forma irrisolta che necessita della moltitudine per raggiungere pieno significato.
E infatti, quando, come un’eco lontana finalmente arriva la musica, gradualmente i danzatori si alzano e vanno a formare un girotondo, che, mutuando il crescendo della melodia, inizia a vorticare furiosamente per i quattro estremi del palco. Il gioco si risolve in una linea compatta: ecco che i performers si ritrovano faccia a faccia col pubblico, esplicitando l’invito a specchiarsi nella realtà che stanno per interpretare, la messinscena dell’esperienza umana, in cui tutti sono ognuno e ognuno è tutti loro.
E così i danzatori si muovono come elettroni sovraccarichi in quell’«immenso e ragionato disordine di tutti i sensi» di cui scrisse Arthur Rimbaud nella sua Lettera del veggente. Alle parole del poeta simbolista deve ispirazione questo ultimo studio sul movimento, di cui i coreografi Abbondanza e Bertoni conducono le fila per intraprendere un’indagine sulle infinite possibilità di forme corporee – coreutiche e individuali.
L’identità formale di ognuno viene rimodellata non appena ci si imbatte nell’altro, in una continua messa in discussione della staticità morfologica del singolo, come se l’espandersi dell’energia del singolo all’interno di una comunità finisca col coinvolgere ciascuno degli organismi del sistema. E così i danzatori si aggrappano l’uno all’altro, si scambiano di posto, dando forma a conglomerati di pose plastiche in continua metamorfosi. Le mani si afferrano, poi si staccano, e poi ancora si ritrovano – in un sussulto che dura pochi secondi, come fossero luci a intermittenza, metafora danzata sull’instabilità dei legami.
Una danzatrice cade, si rialza a fatica ma ancora traballa nel suo percorso lungo una direttrice invisibile che sembra presagirne la dipartita scenica imminente. Il corpo collettivo si adopera per riportarla in piedi. Dolcemente la figura della ragazza viene fatta scorrere nell’abbraccio dei compagni, i quali si impegnano a valorizzare il momento sacrale con una processione di atti di immedesimazione, ognuno prendendo il posto del vicino e così a ripetersi. Ecco allora che la naturale soluzione sembra preannunciarsi proprio nella rigenerazione in un’altra forma. Una moltitudine di nascite e morti si susseguono senza sosta, in un continuo evolversi di «tutte le forme d’amore, di sofferenza, di pazzia» possibili nella vita umana. Come in Rimbaud fu il poeta, qui per Abbondanza/Bertoni è il danzatore che «cerca sé stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza». Nella comunità di corpi danzanti prende piede un moto di forza centripeta, in cui i performers sembrano assorbire sempre più energia, senza però riuscire a liberarsene del tutto. Da questo accumulo di informazioni che sembra non lasciare via di scampo ecco emergere un corpo nudo, la sola resurrezione finale a marcare il ciclico divenire dell’esistenza umana. L’incedere della performer è lento, sostenuto, atemporale, ogni suo passo è matrice di quel che sta per avvenire. In questa visione sospesa tra passato e futuro, il presente si innalza a realtà simbolica della condizione umana e ci raccoglie tutti nella medesima forma. Idem.
Harriet Carnevale
foto di copertina: Tobia Abbondanza
IDEM – IO CONTENGO MOLTITUDINI
ideazione e regia Michele Abbondanza
coreografia e costumi Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
interpretazione e collaborazione alle coreografie Fabio Caputo, Sara Cavalieri, Cecilia Francesca Croce, Filippo Porro
elaborazioni musicali Orlando Cainelli
disegno luci e direzione tecnica Andrea Gentili
esecuzione tecnica Claudio Modugno
produzione Compagnia Abbondanza/Bertoni
partnership con l’Accademia Professionale Danza Milano – Centro ArteMente
con il sostegno di MiC – Direzione Generale Spettacolo, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Attività Culturali, Comune di Rovereto – Assessorato alla Cultura, Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto
il sottotitolo Io contengo moltitudini è tratto da una poesia di Walt Withman
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview