di Marius von Mayenburg
regia di Manuel Renga
visto al Piccolo Teatro Studio di Milano_ 26-27 giugno 2013

Mangiare ostriche ad agosto può comportare rischiosi inconvenienti.
Potrebbe capitare, ad esempio, di ritrovarsi nel vicolo più buio di una città popolata dai fantasmi della propria mente e assediata dai lupi. Così accade ad M, protagonista de Il cane, la notte e il coltello, l’opera del drammaturgo tedesco Marius von Mayenburg messa in scena, per la prima volta in Italia, dagli allievi diplomandi della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi con la regia del giovane Manuel Renga.

M, interpretato da Valentino Mannias, viene risucchiato in una dimensione onirica e sinistra, ed è lui stesso a raccontare – da un microfono posto sul proscenio – la sensazione di crescente spaesamento e angoscia. Alle sue spalle otto porte di legno, le cui variazioni di disposizione consentono degli efficaci e rapidi cambi di scena.
M incontra dieci figure senza nome, che incarnano i suoi timori più profondi: dalla due sorelle all’infermiera, dal cane all’uomo con il guinzaglio, tutti i personaggi sono interpretati da Veronica Franzosi e Daniele Pitari, entrambi versatili e convincenti nei numerosi e non facili cambi di ruolo. Ciò che tutti accomuna, fatta eccezione per la sorella minore, è la fame incontenibile che li porta a dar la caccia a M: fiutano il suo sangue, bramano la sua carne in un senso tutt’altro che metaforico. M si difende e colpisce: il coltello è la lama lucente con cui la preda uccide i suoi cacciatori, sui quali cade una pioggia di sabbia come fosse il sigillo della fine. Solo la sorella minore – l’unica che si sforzi di trattenere la fame e la paura – cerca in ogni modo di salvare M: si offre di nasconderlo, di andare al commissariato al posto suo, è la sola a credere in lui e a mostrare di amarlo.
Il dramma si chiude sulla scelta che M non compie (o perlomeno non compie in scena): fuggire dalla città di sabbia per seguire l’amore di un fantasma gentile o unirsi ai lupi che gli offrono la sicurezza e la forza del branco?

Il pubblico del Piccolo Teatro Studio sembra lasciarsi contagiare dall’atmosfera di inquietudine che l’incubo di M riesce a creare, ma una certa ripetitività di situazioni finisce per provocare un progressivo calo di tensione soprattutto nel finale (l’episodio La steppa, pur presentato in versione ridotta rispetto all’originale e rielaborato dal dramaturg Rocco Manfredi, risulta particolarmente faticoso). Il testo di von Mayenburg – letterario, complesso e riflessivo – rappresenta del resto una prova decisamente ardua per un regista; la messinscena di Renga affronta la sfida con coraggio, utilizzando efficacemente alcuni brani d’opera che sottolineano e amplificano il momento della morte di alcuni personaggi (ad accompagnare l’uccisione del primo dei fantasmi è il risuonare di un emozionante Nessun dorma).

La rappresentazione de Il cane, la notte e il coltello è l’esito di un concorso nato all’interno del progetto “Finestra sulla drammaturgia tedesca”, ideato dalla Scuola Paolo Grassi in collaborazione con il Residenztheater di Monaco, Emilia Romagna Teatro, il Centro Teatrale MaMiMò, il Piccolo Teatro di Milano e l’Accademia di Brera, con il sostegno del Goethe-Institut Mailand. Per la prima edizione del concorso è stato proposto il testo di von Mayenburg, considerato uno dei più interessanti autori tedeschi contemporanei. Lo spettacolo ha dunque il merito di aprire al pubblico una finestra sulla drammaturgia europea, troppo spesso ignorata nelle più importanti programmazioni teatrali italiane.

Alice Patrioli

 

 

Questo articolo è stato elaborato nel contesto del corso di critica teatrale “Critici in erba”, organizzato dalla Scuola Civica d’Arte Drammatica Paolo Grassi, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano.