testo e regia di Giampiero Rappa
visto al Teatro Franco Parenti di Milano_18-30 novembre 2014
Due cuori e una baracca: questi gli elementi messi in campo dall’autore e regista Giampiero Rappa per il suo Il coraggio di Adele, in scena in questi giorni al Teatro Franco Parenti. Un uomo e una donna si trovano a condividere lo stesso rifugio, mentre fuori imperversa la guerra. È un conflitto senza riferimenti cronologici precisi, e Rappa gioca a disorientare lo spettatore con segnali contrastanti: l’attesa degli “alleati” – costantemente sul punto di arrivare – ci porta a pensare al 1945, ma i cenni a internet e ai telefonini contraddicono subito questa ipotesi. Si tratta, in realtà, di una questione irrilevante. Il “fuori” è soltanto evocato, alluso, tenuto a distanza, perché quello che conta avviene dentro la baracca e ha a che fare con l’uomo e la donna: come ci comportiamo quando incontriamo l’altro in una situazione di reale emergenza? Siamo disposti ad attenuare le asperità del nostro carattere, o siamo destinati a ricadere sempre negli stessi schemi?
La messa in scena procede per brevi istantanee successive, che fotografano l’evolvere del rapporto dei protagonisti Lucas e Adele: l’incontro; la decisione di lei di prendersi cura dello sconosciuto ferito; la progressiva conoscenza reciproca; il nascere dell’amore; le difficoltà del neonato rapporto. La scansione rapida degli episodi, che ha il pregio di un’immediatezza quasi cinematografica, finisce però per risultare ripetitiva e schematica: quasi ogni quadro si conclude con la dichiarazione della prossima uscita di scena (“vado a cercare da magiare”, riferisce, il più delle volte, uno dei due), a cui seguono il buio e un didascalico effetto sonoro (il cinguettare degli uccelli per segnalare il giorno; o nuovi bombardamenti per dare notizia del proseguire del conflitto). Ad accogliere i due naufraghi è una piccola pedana che ricorda una nave, stretto spazio di condivisione nel quale spartire cibo e confessioni, intimità e coperte.
Il testo è costruito su una continua alternanza di registri e si muove tra allarmate richieste di aiuto, ironiche schermaglie di coppia, gridi disperati e battute a sfondo sessuale. I bravi Filippo Dini e Arianna Scommegna (che ha sostituito la Teresa Saponangelo della scorsa edizione dello spettacolo) sono abili ad attraversare la drammaturgia conservando ad un tempo leggerezza ed intensità. Eppure i due poli del copione sembrano cadere in un duplice rischio: quello dell’eccessivo patetismo da un lato e della riproposizione di certi stilemi da fiction televisiva dall’altro (“Quando io scatto è come se baciassi una donna” spiega il fotografo di guerra Lucas; “Adele guarda, sono erettile!” gioisce alzandosi in piedi poco dopo il rapporto sessuale).
Lo spettacolo si segue con piacere e si sorride riconoscendo gli eterni luoghi comuni della coppia. Ma si desidererebbe altro: che il teatro potesse affrancarsi dai debordanti clichè da commedia sentimentale e potesse trovare una modalità più aguzza per raccontare il misterioso tessuto di incontro tra l’uomo e la donna.
Maddalena Giovannelli