Lo spettacolo si è concluso e l’eco delle risate ancora riempie lo spazio del Lavoratorio: a Gioia Salvatori, autrice e interprete di Cuoro Natalino, non resta che incoraggiare il pubblico a dividersi il ricco bottino messo in palio durante lo spettacolo, reinventandosi un po’ Babbo Natale e un po’ un moderno Re Magio della situazione surreale che si è venuta a creare. È una sera d’inverno e stiamo giocando a tombola: tutto normale, se non fosse che siamo a teatro. «Cosa si vince? Ciarpame!», come nella migliore tradizione natalizia che si rispetti. A colpi di cinquina e quaterna i regali – quelli “diversamente belli” – sono stati spartiti, e anche chi non ha vinto avrà il suo ambito premio alla fine della rappresentazione.

Se a Natale siamo tutti più buoni, questo non sembra valere per Cuoro Natalino. Salvatori è regina anticonvenzionale delle feste, che con il suo humor tagliente e sottile sdogana tutti i cliché che ogni anno ci accompagnano dalla Vigilia in avanti. La nostra protagonista, una sorta di folletto di Natale ma animata dallo spirito di un Grinch di nero vestito, ci guida dentro i paradossi del Natale calando nell’atmosfera delle feste il suo Cuoro, un format nato quasi quindici anni fa come blog e oggi capace di riadattarsi anche ai nuovi spazi della comicità: non solo a teatro, ma anche su Instagram, dove Salvatori è molto seguita. C’è contrasto tra le parole al vetriolo di Salvatori e i suoi occhioni solo apparentemente clementi, una finestra stralunata su un mondo fatto di pranzi infiniti, favole macabre e sfrenato consumismo. Quegli stessi occhi indagano lo spettatore, prendendo in giro le sue insicurezze e cogliendo al volo i non detti dei tempi di festa: Cuoro parla con noi, di noi, tra racconti e assurdità in cui ognuno si è rivisto almeno una volta.

Quando un faretto si accende a illuminare la platea, l’atmosfera già frizzante si trasforma in concitata attesa di un dialogo tra Salvatori e il suo pubblico che, preso per mano, si lascia traghettare dentro la scena. «A te piace la famiglia?», chiede l’autrice, pungolando una spettatrice in platea. «Passerà», conclude lapidaria al timido «Sì» ricevuto in risposta. L’ilarità che contagia il pubblico scaturisce dal reale, dal racconto della vita quotidiana che nelle sue infinite contraddizioni risulta più scenica di qualunque opera di fantasia, e la risata collettiva è il paradosso del terreno comune in cui navighiamo (o in cui affondiamo inesorabilmente?). Il monologo di Salvatori è serrato e incalzante e spazia dal canto alla lettura, dalla battuta sagace alle note stridenti di un flauto. L’eloquio febbrile della protagonista crea una buffa contrapposizione con il suo tono di voce composto: come se la calma della sua inflessione vocale riuscisse a tenerne a bada il flusso dei pensieri vorticosi. 

Il palco è il salotto addobbato per le feste di Salvatori ma potrebbe essere anche il nostro; una poltroncina arancione, il pupazzo di un gallo e un leggio con le pagine di una storia da narrare ad alta voce: l’immancabile racconto di Natale. La mimica si trasforma e Salvatori diventa la bambina di Scarpette Rosse, la Piccola Fiammiferaia o il fantasma della sua Nonnetta. Sono favole che ci sono state tramandate fin dall’infanzia, e noi – riflette Salvatori – continuiamo a raccontarle, di generazione in generazione, senza realizzare fino in fondo il loro essere intrinsecamente macabre: alla fine, è forse un po’ più chiaro perché ci servirebbe il bonus psicologo. 

Francesca Rallo


in copertina: foto ufficio stampa

CUORO NATALINO
di e con Gioia Salvatori

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Officina Critica #2