di Davide Verga
Il generalizzato disinteresse nei confronti della musica di scena stride con il ruolo rilevante da essa rivestito nel teatro di regia: la componente musicale si è infatti definita nel panorama novecentesco quale ingrediente imprescindibile del ‘testo’ dello spettacolo teatrale, concorrendo, alla pari degli altri elementi della messinscena, all’opera di costruzione del senso. Non è un caso che fra i principali collaboratori di Giorgio Strehler vi fosse Fiorenzo Carpi, compositore di solida formazione chiamato a lavorare al Piccolo Teatro di Milano fin dall’anno della sua fondazione e destinato a divenirne – firmando la quasi totalità delle musiche degli spettacoli rappresentati al Piccolo – il ‘musicista ufficiale’.
Che nelle regie strehleriane il contributo di Carpi non sia mai di cornice, caricandosi invece di un preciso valore drammaturgico, bene si evidenzia nell’Arlecchino servitore di due padroni, spettacolo simbolo del Piccolo Teatro in repertorio dal 1947 a tutt’oggi. Il fatto che dell’Arlecchino Strehler abbia curato dieci diverse edizioni consente di evidenziare come col mutare dell’impostazione registica ci sia stato un parallelo modificarsi della partitura musicale predisposta per esso, rivelando dunque in filigrana una funzione tutt’altro che secondaria della musica («perché – così scriveva Strehler a Carpi – un’altra caratteristica della musica di scena è quella di appartenere sempre in un rapporto sensibile ma critico al testo a cui si riferisce»). Ad esempio la volontà, incarnata nell’Edizione del 1956, di soppiantare la precedente lettura stilizzata del testo goldoniano con uno spaccato storico-sociale della vita e delle modalità rappresentative dei Comici dell’Arte lasciò segni profondi nella concezione della musica di scena: il brano strumentale introduttivo – contrassegno sonoro dello spettacolo – venne da Carpi interamente ripensato, trasformato da gavotta screziata di neoclassicismo in rozza marcetta; e, soprattutto, mediante l’aggiunta di canzonette e parodie del melodramma, il testo scenico dell’Arlecchino si arricchì, in musica, di nuovi significati: spunti relativi alle tecniche dell’Arte, squarci di umanità popolare e toccanti meditazioni sull’esistenza travagliata dei più deboli.