di Alessandro Iannucci
Nel progetto artistico all’origine del film I cannibali (1970), Liliana Cavani ha intenzionalmente riscritto e riadattato a un tempo presente la storia di Antigone prescindendo dal confronto con il modello classico – la tragedia Antigone di Sofocle rappresentata ad Atene nel 442 – e dalla consueta prassi di una trasposizione o riproposizione attualizzante del testo. La sfida era piuttosto quella di far rivivere la forza narrativa del mito attraverso una trama esemplare in grado di riproporre in una prospettiva contemporanea la tensione – e la spinta alla ribellione – tra la libertà dell’individuo e la ragione di stato, deformata nell’accezione di potere violento e sopraffattorio. Attraverso un’analisi dei meccanismi drammaturgici e del processo di immedesimazione e straniamento che costruiscono nei rispettivi pubblici di riferimento, l’articolo intende focalizzare la riuscita estetica della tragedia di Sofocle rispetto all’accoglienza sfavorevole ricevuta dal film di Liliana Cavani. A questo tipo di confronto contribuisce il ricorso ad alcune categorie estetiche della Poetica di Aristotele: più in generale queste rendono plausibile il parallelismo tra cinema e tragedia greca dal punto di vista delle modalità narrative di costruzione dell’emozione.