E se Adamo fosse stato ucciso – poniamo – da una donna scimmia?

Un’idea buffa, scadente, intrisa dell’immaginario cinematografico dei colossal americani del XX secolo. Ma anche una fantasia indispensabile per il giovane protagonista del Paradiso degli idioti, che cerca di elaborare il suo controverso lutto per la morte del padre.
Andrea, aspirante sceneggiatore, si trova a fare i conti con la pochezza dell’eredità dei padri, intesa in senso universale: fatta eccezione per Adamo, ogni uomo è figlio di un altro uomo, ed è a questo vincolato da un sentimento di riconoscenza per il solo fatto di essere al mondo.Un circolo vizioso che genera prepotenza da una parte e timore reverenziale dall’altra, e che ogni nuova generazione accoglie come un fardello sempre più gravoso.

Andrea e sua sorella Sonia tentano di consolarsi vicendevolmente, ma non si rendono conto di riprodurre l’uno nei confronti dell’altra le stesse modalità impietose, giudicanti e demolenti che hanno acquisito dall’arida pedagogia paterna.
I due trovano un rifugio dallo sconforto nella dimensione onirica, che La ballata dei Lenna rappresenta con eccezionale vigore immaginifico: suggestioni angoscianti e sensuali vengono condivise con chi sta in platea svincolandosi dal filtro accomodante della parola, integre nelle loro sfaccettature consce ed inconsce. La creatività dei due protagonisti, colma di angosce inespresse, assume forme che sfuggono al loro controllo, si impossessa di loro e li abbrutisce, rendendoli spregevoli ai loro stessi occhi.
L’ultima consolazione concreta rimane quella dell’abbraccio fraterno, che non è certo una salvezza, ma è il minimo indispensabile per tirare avanti.

Chiara Mignemi