Il 2 marzo 1990 Il Purgatorio. La notte lava la mente debuttava al Teatro Fabbricone di Prato. Dopo l’Inferno di Edoardo Sanguineti e prima del Paradiso di Giovanni Giudici, il regista Federico Tiezzi aveva scelto il concittadino Mario Luzi per affrontare la fatica della salita: o, come nel sottotitolo luziano, la «drammaturgia di un’ascensione». Oggi, a tappe invertite, comincia dal Purgatorio il ritorno a teatro della Commedia.

Accanto a Dante (Sandro Lombardi, «trascinante» oggi come trentadue anni fa, quando così lo descriveva Franco Quadri) e Virgilio (Giovanni Franzoni), c’è Poema (Francesca Ciocchetti), una terza figura spiazzante, invenzione di Luzi: serve a sdoppiare le prime persone del testo tra attive – quando Dante dialoga o agisce – e descrittive. Non a caso, mentre Dante in scena chiede, sale, si angoscia o si addormenta, Poema prende appunti. L’aggiunta era probabilmente l’intervento autoriale più forte, in una drammaturgia che invece poggiava sull’assolutezza del testo dantesco. Del resto, dichiarare un’umile resa – che non è sconfitta, ma l’ammissione che non c’è nessuna partita da giocare – sembra la strategia di Luzi e Tiezzi oggi e allora: il destino dei superbi è noto, ed è bene riconoscere fin da subito che, se si mette Dante in scena, si accetta di fare un passo indietro. Il vero protagonista è il verso – ed è ancora più chiaro quando sullo schermo in fondo alla scena (dove saltuariamente compaiono dei video) un alfabeto dapprima caotico prende poi forma nella scritta «parola».

foto: Luca Manfrini

Non mancano, però, i momenti in cui accanto alla parola anche il linguaggio teatrale prova a svelarsi a pieno. Nello spazio moltiplicato dell’antipurgatorio, dove le anime appena traghettate riempiono tutti i piani della scena e dove il tempo sembra non bastare per cogliere tutto quello che accade intorno a Dante e Virgilio, comincia anche il susseguirsi degli incontri. Le anime, inizialmente avvolte in coperte termiche dorate che ne hanno appena scaldato la traversata, si svelano presto vestite di abiti moderni, tra valigie e pattini a rotelle, chi con un violoncello chi con un libro. Quei panni, quegli oggetti e perfino le scarpe, però, saranno abbandonati al momento di entrare nel Purgatorio vero e proprio, e lì sostituiti con una divisa grigia. L’arrivo alla montagna è il passaggio più coinvolgente: quello che fino ad allora è sembrato un normale pavimento si rivela una piattaforma di quattro pannelli mobili, capaci di trasformarsi in una parete da scalare. Gli oggetti rimasti in scena, perfino i tavoli bianchi che ci avevano accolto in teatro a sipario alzato, cadono rumorosamente davanti ai nostri occhi, mentre si alza la montagna magica del Purgatorio (funziona l’immagine proposta dal regista di un Purgatorio come luogo di transizione e di cura, alla ricerca di una sovrapposizione col Sanatorium di Thomas Mann); la scenografia, debitrice delle intuizioni “meccaniche” di Pasquale Grossi nel 1990, è oggi di Marco Rossi. Quanto alle anime incontrate, la selezione operata da Luzi tra i trentatré canti è generosa. Per tutti gli episodi, valga citarne uno solo: le terzine di Pia de’ Tolomei, recitate non da una ma da tutte e tre le attrici in scena (Francesca Gabucci, Debora Zuin e Leda Kreider), fanno della violenza subita dalle donne una testimonianza da raccontare insieme, e non un peso sulla coscienza individuale. 

Possono sorprendere alcune scelte: la nuova chiave psicanalitica data al finale (comunque giustificata dal sonno e dalla perdita di coscienza di Dante, costanti del Purgatorio che forse in questo modo sono riscattate dalla presenza sfumata nella riduzione di Luzi); o ancora l’inserimento di un abbraccio di saluto tra Dante e Virgilio sulla soglia dell’Eden, forse innecessario, soprattutto in una cantica che molto insiste sull’intangibilità delle anime, sugli abbracci mancati e sui corpi incapaci di dare ombre. Rimarcano giustamente questo aspetto, infatti, le luci fredde, che mai lasciano spazio alla penombra (sono lavoro di Gianni Pollini), i movimenti rotti dei corpi danzanti sui canti di preghiera (con le coreografie di Cristiana Morganti), o ancora le interruzioni sempre brusche delle musiche. Lasciato da Virgilio, però, Dante non rimane solo: quando la sagoma di Beatrice, inizialmente nascosta sotto vesti bianche, si staglia contro il rosso di cui è tinto il paradiso terrestre, la durezza della sua requisitoria al poeta riesce non solo a passare per la parola ma a anche pervadere la brutalità viva di colori, suoni, voci e luci.

Scandisce lo spettacolo, fin dall’inizio, una domanda fondamentale: Esiste il tempo? | Sì, ed esiste il travaglio. Non solo esiste, ma è anche ciò che allinea le anime a chi è ancora sulla terra. Se nel Purgatorio è ammessa la speranza, è proprio perché si può concepire il tempo: in questa sovrapposizione tra desiderio e futuro andrebbero forse snidate le ragioni di rimettere in scena per prima, oggi, la cantica centrale – ammesso e non concesso che la sovrapposizione, valida e seducente, abbia presa di realtà nello sgretolamento di oggi. Fa certo presa, però, la costante sensazione di transitorietà, e accanto a questa le ineguali possibilità di ognuno di noi davanti all’incertezza:

La notte lava la mente.
Poco dopo si è qui, come sai bene, 
fila d’anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo chi quasi in catene.

Con le parole del regista, poi, ripartire dal Purgatorio – che resta nella memoria come la cantica del richiamo a Giotto e degli incontri con Casella e Guinizzelli – significa mettere al centro, oggi, l’amicizia e l’arte. Più in generale (e al di là dell’incastro fortunato con la macchina del centenario dantesco), tornare oggi alla Commedia è anche proporre un lavoro sul linguaggio teatrale: un’operazione di riscrittura e di selezione, per trovare, a distanza di tempo, costanti e novità. 

Virginia Magnaghi

foto di copertina: Luca Manfrini


IL PURGATORIO. LA NOTTE LAVA LA MENTE
di Mario Luzi
drammaturgia Sandro Lombardi e Federico Tiezzi
regia Federico Tiezzi
scene Marco Rossi
costumi Gregorio Zurla
luci Gianni Pollini
regista assistente Giovanni Scandella
scenografa assistente Francesca Sgariboldi
canto Francesca Della Monica
movimenti coreografici Cristiana Morganti
con Alessandro Averone, Dario Battaglia, Alessandro Burzotta, Giampiero Cicciò, Francesca Ciocchetti, Martino D’Amico, Salvatore Drago, Giovanni Franzoni, Francesca Gabucci, Leda Kreider, Sandro Lombardi, David Meden, Annibale Pavone, Luca Tanganelli, Debora Zuin
spettacolo cofinanziato e patrocinato dal Comitato Nazionale per la celebrazione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri
produzione Associazione Teatrale Pistoiese, Teatro Metastasio di Prato, Compagnia Lombardi Tiezzi, Campania Teatro Festival, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
in collaborazione con Accademia della Crusca, Università per Stranieri di Siena, Opera di Santa Croce, Opera di Santa Maria del Fiore
con il sostegno del Ministero della Cultura e con il contributo di Regione Toscana e Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia