Siamo in un futuro apparentemente non troppo lontano, nel frattempo però siamo in un teatro e stiamo per assistere alla messa in scena di Il ringhio della via lattea di Bonn Park. A un certo punto una navicella spaziale plana sul palco e ne fuoriesce un minuscolo alieno. Il vorticoso viaggio attraverso le parole di questa drammaturgia assurda e fantascientifica è iniziato.

Che sarà un viaggio strano lo si intuisce già leggendo la lista dei personaggi:

-L´extraterrestre ammonitore, Biologo
-Lo sconcertato Kim Jong-Un, Guida suprema della repubblica democratica popolare di Corea
-Il disilluso Donald Trump, Ex-Presidente degli Stati Uniti d´America
-La donna arrabbiata che salva la socialdemocrazia, Candidata al posto di cancelliere federale
-L´arrabbiato Bonn Park dal futuro, Prigioniero nel corpo di una ragazza 11enne
-Il bambino malato di cancro, Con solo pochi giorni di vita e con un ultimo desiderio
-La grassa Heidi Klum, Non in difficoltà nel dare spiegazioni, ma con delle scoperte
-La Cassandra maniaco-depressiva della mitologia greca, Veggente, probabilmente reduce da un soggiorno in una clinica diurna privata
-Forse non Manuel Neuer, Ma semplicemente qualcun altro
-La giraffa rilassata, Fumatrice
-Il cattivo coro dei bambini e 12000 gattini (cattivi) , Criminali & Farabutti

Leggendo Das Knurren der Milchstraße (titolo originale de Il ringhio della via lattea) si ha l’impressione di guardare dentro a un caleidoscopio che l’autore si diverte ad agitare a ogni paragrafo, così lo svolgimento della drammaturgia muta all’improvviso imboccando deviazioni inaspettate. A muovere il caleidoscopio c’è Bonn Park (classe 1987), drammaturgo, regista e attore nato in Germania da genitori coreani. Nonostante la giovane età ha già ottenuto numerosi riconoscimenti per la sua scrittura teatrale, tra cui l’Innovation Prize Heidelberg Stückemarkt (2011) per Die Leiden des Jungen Super Mario in 2D, l’Else Lasker-Schüler Playwright Prize (2014) per Tristezza & Malinconia o il più solo solissimo George di tutti tutti i tempi, che si è aggiudicato anche la nomination per il German Youth Theatre Prize (2016). Nel 2017 Il ringhio della via lattea vince il primo premio Stückemarkt al Berliner Theatertreffen.

Il ringhio della via lattea, regia di Bonn Park (2017) in scena al Theater Bielefeld (foto: Sarah Jonek)

Lo stile assurdo e a tratti demenziale con cui Bonn Park porta avanti la narrazione rende difficile delineare una trama, intesa in senso stretto. Succede che il mondo è più o meno quello che conosciamo: «tutti vivono nella merda e si fanno a pezzi a vicenda nell´aria inquinata. E poi lì esiste una piccola isola che è la meta preferita di tutti i cervelli e talenti giovani ed estremamente muscolosi, per non farvi assolutamente nulla e crogiolarsi nell’autocommiserazione e nel cinismo. Questo pianeta è la terra.» e personaggi quasi sempre arcinoti ed esasperati lo calcano offrendo al pubblico la propria visione della realtà. Per esempio “Lo sconcertato Kim Jong-Un”, dopo essersi esibito in un’interpretazione canora di Lithium dei Nirvana su supporto strumentale del “disilluso Donald Trump” (chitarra), di “Bonn Park dal futuro imprigionato nel corpo di una ragazza 11enne” (basso) e del “coro dei bambini” (coro e danza), si rivolge al pubblico dicendo:


da Il ringhio della via lattea

L’ altro giorno volevo unificare le due Coree. È una buona idea, no? Io pensavo che fosse una buona idea! La migliore idea degli ultimi decenni probabilmente. Meglio dei campi di lavoro, meglio delle bombe atomiche, meglio della fame. (…) Dieci minuti dopo salgo sul taxi e dico “Al Ministero della Riunificazione!” “Ma Lei non è quel brutto presidente?” “Sì, sono proprio io.” Sono offeso, ma cerco di non odiarlo. Lui mette in moto, arriviamo, io pago in dollari americani e mi presento alla portineria. Come tutti quanti, anche il signore alla reception è stupito, io minaccio con le bombe nucleari ecc… ma tutto questo è assolutamente privo di interesse! Prendo posto nella sala d´attesa del Ministero della Riunificazione. (…) Poi, ad un certo punto, due ore e mezzo dopo, entra la presidentessa e si scusa per il ritardo, tante cose da fare, tanto traffico, è che tutti hanno così tante cose da fare, tutti devono sempre correre da qualche parte, è difficile. Mi offre del tè e un piccolo Bibimbap, e poi chiacchiera a ruota libera, racconta quanto al momento sia tutto difficile, e che l´anno successivo ci saranno pure le elezioni, e io la interrompo e dico: “Riunificazione o BOOM!” E lei continua a intortarmi con altre 12000 parole inutili, che lei però trova onestamente importantissime. Io ci provo di continuo con “Riunificazione o BOOM!” ma lei mi fa pena con quel suo delirio di compiti e con quel suo andare fuori tema che si alternano. In realtà dovrebbe girare tutto intorno alla vita, ma lei va fuori tema ad ogni parola. Poi improvvisamente scoppia in lacrime e mi dice: “Per favore non distruggere tutto con le bombe!” Per un attimo rimango stupito e sono molto commosso e quasi comincio a piangere anch’io, sembra proprio essere prigioniera della sua banalità. Le passo un fazzoletto con su stampati dei motivi propagandistici nordcoreani dei quali in quel momento mi vergogno e che spero che lei non legga prima di asciugarsi le lacrime e metto la mia mano sulla sua. “Geun-Hye-Sorella, è molto semplice. Riunificazione o boom. È semplicissimo! Estremamente bello o estremamente brutto. Cosa vuoi? Dai, cara, è veramente molto semplice”. E anche se la cosa non mi meraviglia, ma comunque annientando all´istante quel poco di speranza che stava germogliando e che la presidentessa stava annaffiando con le sue lacrime, lei dice: “Purtroppo non è così semplice. Davvero, purtroppo non è così semplice. Dal profondo della mia anima, non così semplice.” A quel punto tiro fuori la mia ultima arma segreta dallo zaino. E la metto in piedi sul tavolo da conferenza davanti a noi:

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
Hi.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Ehi, piccolo mio! Quanti anni hai?

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
Sei e un quarto.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Wow. Allora sicuramente andrai già a scuola?

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
No, non più.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Oh, e perché non più?

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
Ho il cancro.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Cosa? Ma è terribile! Che tipo di cancro?

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
Tutti quelli che esistono.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Ma è semplicemente terribile. Vorrei farti del bene. C´è qualcosa che vorresti? Un dolcetto?

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
No.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Un giocattolo? La Playstation?

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
No.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Niente?

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
Vorrei che le due Coree si riunificassero. Non voglio nient’ altro.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Nient’altro? Solo questo?

IL BAMBINO MALATO DI CANCRO
Solo questo.

LO SCONCERTATO KIM JONG-UN
Mi dispiace molto, ragazzo mio. Ma purtroppo non è possibile. La zia Park dice che purtroppo è proprio semplicemente impossibile.


Questa drammaturgia dell’assurdo matura, pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio, un linguaggio che sempre più le corrisponde. Un linguaggio “smaterializzato”, ripetitivo, a tratti rapsodico: le molecole che compongono il discorso vanno incontro a inediti processi di disgiunzione e sintesi in forme nuove, sempre più stranianti e sopra le righe.
Il linguaggio partecipa alla narrazione in veste di forma e di contenuto, contribuendo così a precipitare il lettore (e il pubblico che assiste alla rappresentazione) attraverso una fantascientifica tana del bianconiglio in un pianeta delle meraviglie dove le parole cambiano di significato e di intensità a seconda del volere di chi le pronuncia.
Il sarcasmo che si irradia attraverso ogni vena pulsante del testo, tuttavia, non inganna il lettore (o il pubblico in sala) e anzi, il contrasto tra l’importanza dei temi trattati (povertà, morte, guerre, politica internazionale, malattia, etica…) e l’apparente leggerezza del tono, l’esibita agilità quasi casuale con cui si salta da una tragedia all’altra procurano non pochi sobbalzi a chi legge o assiste alla messa in scena teatrale. Bonn Park è terribilmente, inequivocabilmente serio e lo è tanto più quanto più ostenta consapevolmente ironia formale.

Il ringhio della via lattea, regia di Jonas Vietzke (2019) in scena al THEATER and der GLOCKSEE (foto: Jonas Wömpner)

La struttura drammaturgica è divisa nove scene (numerate in ideogrammi cinesi da uno a infinito) stilisticamente simili, quasi sempre è presente un personaggio monologante “titolare” della scena accompagnato da un coro o da altri personaggi in funzione corale che spesso concorrono a creare una controscena definita dall’autore “scena magica”. Non è possibile individuare una precisa direzione nello sviluppo temporale degli eventi, l’ambientazione è spesso astratta e si definisce di volta in volta in relazione a quanto evocato dai monologhi o dalle “scene magiche”.
L’impianto della narrazione è smaccatamente post-drammatico e meta-teatrale, l’ultima scena del testo è interamente condotta da una giraffa parlante che istruisce il pubblico e lo guida attraverso un paradossale rito di riconciliazione tra uomini; letteralmente tutto il mondo (anche dal passato e dal futuro) partecipa a questo racconto che va sempre più delineandosi attraverso i tratti di un’epopea distopica. La stessa drammaturgia va incontro a una conclusione meta-testuale (che non svelerò qui): dire di più sarebbe difficile e poco saggio, si potrebbe ma si rischierebbe di rovinare la sorpresa di confrontarsi con materiale tanto affascinante. «Prima o poi dovremo tornare per salvarvi. Ma non si può fare, è severamente vietato. Ma d´altra parte siete anche così carini e vi si vorrebbe prendere in braccio e nutrirvi e farvi le coccole.»

Fabiola Fidanza

(foto copertina: Niklas Vogt)


Il testo, grazie al progetto Fabulamundi, può essere richiesto gratuitamente con una mail a [email protected]