di Eduardo De Filippo
regia di Marco Sciaccaluga
visto al Teatro Elfo Puccini di Milano_8-14 febbraio 2016
“La morte è povera cosa, ma chiude una ferita mortale”. Una delle prime battute pronunciate dal protagonista è una citazione dal Riccardo II di Shakespeare, che ricompare sul sipario che si chiude dopo quasi tre ore di spettacolo che scorrono veloci, grazie al ritmo scenico sostenuto e a una partitura drammaturgica che conosce perfettamente i meccanismi di funzionamento del comico.
È però arduo definire commedia Il sindaco del rione Sanità, commistione riuscita di umorismo e di tragico, memore della lezione pirandelliana, del teatro dell’assurdo, ma anche dei drammi di Shakespeare. Scritta nel 1960 da un De Filippo pessimista e disilluso, come la Grande magia utilizza i topos della napoletanità per affrontare tematiche più generali e spingere il pubblico a interrogarsi: che rapporto c’è fra legge e giustizia? È lecito farsi giustizia da sé? Verità e falsa testimonianza sono davvero inconciliabili?
Protagonista è don Antonio Barracano, una sorta di boss del popolare quartiere napoletano ispirato a un personaggio realmente esistito, che con la sua autorevolezza e una giustizia fai-da-te ricompone liti familiari e zuffe fra poveri diavoli per questioni di debiti, con l’ausilio del fido medico Fabio Della Ragione (un Federico Vanni perfettamente calato nella parte), improvvisatore di sale operatorie in tinello. Pur essendo semi-analfabeta, questa ambigua figura di avvocato-giudice conosce a menadito il codice penale, “testo dell’ingiustizia”, che regolarmente condanna gli ignoranti “sui cui delitti si basa la società”, e assolve i potenti. La routine di casa Barracano viene stravolta dall’irrompere dell’aspirante parricida Rafiluccio insieme a Rita, la fidanzata incinta. Don Antonio accetta la sfida e si reca dal padre del ragazzo, un benestante commerciante che lo ha diseredato, consapevole del rischio che corre.
La denuncia sociale e le istanze democratiche non costituiscono che un primo livello di lettura del testo, che, come avverte lo stesso De Filippo, vira al metafisico e al simbolico, pur mantenendo un apparente ancoraggio alla realtà. E così il rassicurante arredamento piccolo-borghese anni Cinquanta è messo in discussione dalla scenografia essenziale e geometrica (di Guido Fiorato), dalle luci fredde e da un palcoscenico drammaticamente inclinato verso la platea.
Da due anni in tournèe – ha debuttato al Napoli Teatro Festival nel 2014 – lo spettacolo di vanta un cast di alto livello e insolitamente numeroso, proveniente dagli Stabili di Genova e di Napoli, ben amalgamato dalla regia di Marco Sciaccaluga che, pur rimanendo fedele al testo, ne offre una personale reinterpretazione. Concertato di voci maschili (fra tutti ricordiamo Massimo Cagnina nel ruolo del commerciante e Rosario Giglio in quello di O’ Cuozzo), la commedia circoscrive le parti femminili alla moglie, alla domestica e alla fimina, interpretata con freschezza e spontaneità da Cecilia Lupoli, che incarna quell’utopia di calore familiare e umanità tanto cara all’autore. L’applauditissimo Eros Pagni (premio Le Maschere del teatro come miglior attore protagonista), calibra con garbo un leggero accento partenopeo – lui che napoletano non è – e una gestualità in stile Il Padrino.
Ma è la morte il convitato di pietra della pièce, evocata fin dal primo atto e protagonista del terzo, quando Don Antonio, approntata ‘l’ultima cena’, fa i conti con la propria coscienza, le ferite mai rimarginate e i soprusi subiti, mentre la luce si fa livida e la musica (di Andrea Nicolini) sottolinea la tensione. Il pervicace intento di Don Antonio di ristabilire un ordine nella speranza che fra qualche generazione «il mondo sia un po’ meno rotondo e un po’ più quadrato» ha dato senso a una vita, ma è destinato allo scacco. Il dottor Della Ragione, nomen omen, ormai disilluso dal vecchio sistema di ‘valori’, non eseguirà le ultime volontà del suo alter-ego, pur portandogli un immutato affetto. E finalmente le parole ‘giustizia’ e ‘dignità’ ritrovano il loro autentico significato.
Simona Lomolino