di Gioia Zenoni
Il teatro nella sua forma classica, impressagli dall’architettura romana e conservatasi fino ai giorni nostri grazie al tramite rinascimentale, è il traguardo di un processo che coinvolge le precedenti tradizioni greco-ellenistica, magnogreca ed italica, ma che trova il suo punto di forza nell’apporto dell’esperienza tecnologica dei Romani. Un nuovo codice per la struttura, perfetta sintesi di estetica e funzionalità, si sviluppa nel corso del I sec. a.C., in paradossale concomitanza con l’esaurirsi della grande stagione tragica e comica. Se il teatro perde dunque il suo valore di arte in sé e per sé, piegandosi ai gusti di un pubblico che apprezza forme di intrattenimento più leggere come le audizioni musicali e i giochi gladiatorii, anche la sua forma muta per venire incontro alle più diverse esigenze sceniche, dando origine agli odea e ai cosiddetti teatri-anfiteatri. E’ dunque evidente l’importanza del fattore sociale nella relazione che si innesca fra fruizione e struttura, sfida a cui l’architetto romano risponde proponendo una soluzione funzionale per ogni richiesta di una società eterogenea come quella d’età imperiale. Anche il significato dell’evento teatrale e dell’edificio che lo ospita è fortemente condizionato dal fattore sociale, che lo rende luogo di promozione del rapporto fra i cittadini e il potere centrale, di esibizione di un’urbanitas acquisita o semplicemente ricercata, strumento di propaganda per il princeps e per i singoli evergeti. Il teatro, dunque, è il punto in cui molti interessi convergono e, allo stesso tempo, un centro di diffusione non solo di cultura, ma anche di pulsioni sociali e di idee politiche.