scritto e diretto da Matteo Latino
visto al Pim Off di Milano _ 10-11 novembre 2012

InFactory è un progetto ambizioso: trattare il dramma di una generazione, quella dei trentenni d’oggi, attraverso un linguaggio polimorfo e metaforico, che, allo stesso tempo, suoni accattivante e attuale. Matteo Latino, bisogna riconoscerlo, si dà un gran da fare per svilupparlo: dirige, recita, scrive, disegna e, a coronamento del suo sforzo, conquista il “Premio Scenario 2011”.

Lo spettacolo di Teatro Stalla – questo il nome scelto dalla compagnia –  giunge quindi a Milano dove il Pim Off, con l’intelligente curiosità che lo contraddistingue nella selezione delle realtà ‘altre’ dello spazio scenico, lo accoglie a braccia aperte. Il titolo “InFactory”, ossia “nella fabbrica”, rimanda da subito a due temi ben radicati nella società capitalistica e indissolubilmente collegati fra loro: quello della riproducibilità e quello del consumismo.
Il testo, sempre ad opera di Latino, viene declinato e immagazzinato in tre contenitori-artistici distinti (video, programma di sala, spettacolo teatrale) ed è interessante vedere come in queste metamorfosi acquisti sfumature differenti: si va dal retorico-enfatico del supporto video, alla levità straniante della parola parlata fino al virtuosismo linguistico dello scritto. I formati scelti tradiscono un gusto radical-pop che si esemplifica negli stilemi da videoclip musicale, nelle grafiche curate, nelle illustrazioni da fumetto, per configurarsi poi sul versante teatrale, nella duttile dimensione della performance.
Quest’ultima, che Latino mette in scena insieme a Fortunato Leccese, prende le mosse da un recinto ideale, un telo di plastica steso a terra che può essere sia luogo di costruzione -un cantiere edile- sia sede di analisi impietosa -il  mattatoio dove si smembrano le bestie.

L’intento è chiaro: esplorare con linguaggio e strumenti dichiaratamente anticonvenzionali tematiche vive e dolorose quali la condizione umana e sociale dei giovani, siano essi considerati come vitelloni – o bamboccioni, se si preferisce il sinonimo di regime – siano invece intesi quali il risultato generazionale di politiche economiche-culturali inique.
Più che attraverso un discorso coeso e articolato, lo spettacolo procede per giustapposizioni. Si tratta di un apparato modulare, come suggeriscono le scatole pronte per l’uso dalle quali i due attori ricavano le magliette-slogan che introducono le scene: “Do you know your chiken?-I know my chicken”, “Be strong-Be wrong”.
La dialettica non esiste, a sostituire ogni forma di dialogo sono soltanto soliloqui in cui l’elemento reiterativo non svolge meramente una funzione ritmica, bensì racchiude il nucleo tematico del discorso, diventa la boa concettuale cui aggrapparsi nella piena delle parole.

Niente di nuovo in realtà. I Babilonia Teatri ne hanno fatto un marchio di fabbrica ed è probabile che Latino attinga proprio al loro modus dicendi, per quanto sia evidente che il modello di riferimento principale sia da ricercare in un’altra realtà molto nota del parterre teatrale nostrano: Ricci/Forte. Il limite e forse il successo stesso di InFactory risiede proprio nel sembrare uno spin-off del lavoro del duo di Macadamia nut brittle, il quale, nonostante una critica talvolta giustamente sospettosa, ha dalla sua il merito di essere riuscito a farsi portavoce di un nuovo pubblico teatrale.
InFactory
ne incarna lo spirito prevedibilmente provocatorio – la madonna di gesso che viene spaccata è quasi luogo comune – e l’incapacità di scavare sotto la superficie: elencare una serie di cliché degli anni ‘90 non basta a descrivere una generazione, così come i balletti techno nei cambi scena o l’iconografia da street-art rischiano di ridursi a inconsistenti soluzioni estetiche.
In questo modo anche le belle trovate del proiettore di diapositive che illumina l’immagine del ragazzo/vitello avvolto nel cellophane e dell’uomo su cui, nel finale, vengono disegnate con una bomboletta spray le ferite del suo esistere, risultano annacquate.
L’opera d’arte sarà pure diventata un articolo brandizzato –  le cui caratteristiche sono tanto preziose al consumatore per un’identificazione e un acquisto più immediati, quanto al produttore per ripetere il proprio successo senza troppi sforzi – ma è utile ricordarsi che non sempre la marca è garanzia di un buon prodotto.

Corrado Rovida