Nell’ambizioso e complesso progetto dedicato dal Teatro delle Albe all’Inferno dantesco convivono armoniosamente due delle anime che guidano da sempre il percorso della compagnia: da un lato l’attitudine all’inclusione della cittadinanza nei processi spettacolari; dall’altro il confronto costante (e mai prono) con i giganti della letteratura.
Per costruire le quasi tre ore di rito collettivo, le Albe hanno lanciato una chiamata pubblica sollecitando gli abitanti di Ravenna (ma non solo) a una partecipazione attiva: a quell’invito hanno risposto più di settecento cittadini di tutte le età, dagli adolescenti fino agli anziani utenti di un ospizio. Per affrontare una simile sfida – creare un mastodontico spettacolo corale in poco più di un mese – la compagnia ha attinto ai moltissimi anni di esperienza con i giovani della non-scuola, e ha certamente messo a frutto il recente successo di Eresia della felicità; ma qui Ermanna Montanari e Marco Martinelli sono riusciti, alzando la posta, a far convergere l’esplosiva energia delle moltitudini all’interno di un progetto spettacolare coerente e compiuto.

Il ben delineato rapporto tra attori e cittadini, che caratterizza questo Inferno, ricorda quello praticato nel teatro antico (fonte di ispirazione esplicitata dai due ideatori, insieme alla sacra rappresentazione medievale): agli episodi assegnati ai professionisti si alternano così ampie sezioni corali affidate di volta in volta a diversi ‘ospiti di scena’. Fare un’autentica esperienza di inclusione, come ben sapevano i greci, vuol dire anche rispettare funzioni e competenze, e saper accostare rischio e certezze. Ed ecco allora che tutti gli storici attori delle Albe sono ingaggiati nel doppio ruolo di guide e di interpreti: è Alessandro Renda, per esempio, a dar vita a Ulisse nel XXVI canto, e quell’ombroso Farinata degli Uberti dalla morbida cadenza romagnola altri non è che Luigi Dadina. Montanari e Martinelli si assumono invece la responsabilità di un vero e proprio ruolo demiurgico in scena, accompagnando il pubblico fin dall’incipit dello spettacolo e diventando il punto di riferimento per i diversi gruppi che danno vita alle bolge dantesche. Nel lungo percorso che dalla Tomba di Dante conduce a Sant’Apollinare e poi nelle viscere del teatro Rasi, i due restano costantemente vigili e visibili, come due direttori d’orchestra che non perdono d’occhio nessuno dei musicisti.

Nell’accostarsi alla complessa materia poetica della Divina Commedia, le Albe mettono in pratica il metodo collaudato attraverso i moltissimi classici portati in scena: da un lato propongono analogie e riferimenti al contemporaneo, dall’altro non schiacciano il rapporto con il testo in una prospettiva meramente attualizzante. Così nella malabolgia dei Simoniaci un conturbante young pope scatta selfies con gli spettatori, e nel fiume di pece è possibile incontrare un primario corrotto; ma allo stesso tempo le terzine dantesche vengono spesso restituite al pubblico ‘pure’, nel loro linguaggio arcaico e poetico. Straniamento distanziante e cortocircuiti temporali (per esempio, Brunetto Latini è un Pierpaolo Pasolini proiettato in video) vengono costantemente alternati e dosati, in modo da provocare sorpresa nello spettatore e sollecitarne così la riflessione. Anche il radicale ripensamento dello spazio scenico del Rasi sembra volto a far perdere orientamento e cognizione di sé: i luoghi si trasformano sotto gli occhi del pubblico via via che il viaggio e procede, e ogni angolo del teatro (dagli uffici fino alle gallerie) muta in un piccolo e spettacolare anfratto infernale. I cori dei dannati contribuiscono a smarrire il visitatore, che si trova letteralmente spinto, strattonato, redarguito dai moltissimi attori-cittadini, armati di fucili o di spaventose voci urlanti. Si lascia ogni speranza dopo essere entrati eppure, dopo nemmeno due ore, è già tempo di uscire dal ventre dell’inferno: Marco ed Ermanna salutano gli spettatori uno ad uno, come ama fare da anni anche Ariane Mnouchkine all’entrata del suo teatro. Fuori, nel giardino, si forma un cerchio: è il momento dei ringraziamenti e della restituzione dopo l’enorme sforzo condiviso. Gli spettatori si mescolano agli attori e ai cittadini che hanno contribuito alla riuscita dello spettacolo, mentre la polis celebra e ritrova se stessa. Consapevole di essere scampata all’inferno e di essere, almeno per una sera, salva.

Maddalena Giovannelli

 

Inferno
ideazione, direzione artistica e regia di Marco Martinelli e Ermanna Montanari
visto a Teatro Rasi di Ravenna_dal 25 maggio al 3 luglio 2017.