di Effetto Larsen
visto a Zona K di Milano_martedì 3 Aprile
all’interno di Danae Festival_27 Marzo-14 Aprile 2012
Come si racconta l’amore ai tempi in cui i pensieri si twittano e si postano?
Quale linguaggio contemporaneo per una love story sul palcoscenico?
Il gruppo Effetto Larsen ha provato a indagare il tema e a cercare un codice, con uno spettacolo che ha meritato il premio Lia Lapini per la scrittura di scena. Il regista Matteo Lanfranchi sceglie una narrazione muta articolata per quadri, l’uno slegato dall’altro. Con gioco metateatrale, il contesto dell’azione scenica viene preparato volta per volta sotto gli occhi degli spettatori, mentre i protagonisti restano immobili ad attendere un’invisibile ciak che ne attivi movimenti ed emozioni. Lui e Lei non sono personaggi, ma funzioni del racconto modificate da un paesaggio esteriore che presto diventa innerscape. Il ruolo della parola resta estrinseco alla narrazione, non più mezzo di comunicazione tra personaggi, ma didascalia ad uso dello spettatore: all’estremità del palco alcune tessere – quasi in stile Scarabeo – vengono alzate, spostate, abbassate per creare parole e cortocircuiti verbali. Così, con pochi cambiamenti, PRESENZA si potrà trasformare in ENZA, in SENZA poi ancora in SERENA.
L’etichetta modifica il barattolo e la percezione del contenitore influenza profondamente la fruizione del contenuto. L’intuizione è buona, l’esperimento interessante, ma lo spettacolo è ancora in cerca di un equilibrio tra forma e sostanza, tra decodificabilità della storia e divertissement sul codice. La sfida, per Effetto Larsen, è quella di una creazione fruibile a più livelli, che non soffochi il piano narrativo più lineare ma allo stesso tempo non lo faccia prevalere. Nella prima parte, il gioco funziona: il meccanismo opera preciso e chirurgico, vola leggero sull’inevitabile banalità della storia d’amore senza farsene schiacciare, fa sorridere lo spettatore per sottigliezza e ingegnosità. I due protagonisti si incontrano ad una festa e si innamorano; nel fotogramma successivo stanno già condividendo con intimità uno spazio domestico e quotidiano. Il mutare dell’atmosfera è dato soprattutto dal cambio di set: gli abbracci e le carezze non si trasformano troppo, ma ora ci sono trapunte, libri e caffè, dove prima c’erano bicchieri di vino, pizzi rossi e tacchi alti. Poi però qualcosa si sbilancia. Spuntano l’Altra e l’Altro, la vicenda si complica. Scena dopo scena, l’allestimento e l’ambientazione si fanno meno necessari e non riescono più a modificare la percezione dell’azione scenica: mentre l’Altra aspetta angosciata l’esito di un test di gravidanza, e Lei prende le distanze dall’Altro dopo una cena malriuscita, si fa strada la sensazione di essere di fronte ad una storiella da serie TV, l’interesse scema, fa capolino la noia.
E se l’assenza di parole appare nella prima parte un ottimo stratagemma per rendere atmosfere sfumate, per mettere in luce la prossemica e per disegnare l’arcana danza dei corpi, nella seconda appare di improvviso una convenzione arbitraria: mentre le coppie cenano e parlano tra di loro ci si chiede perché lo spettatore non possa udire brandelli di conversazione, e pare quasi di riconoscere stilemi da mimo.
Danae Festival ha presentato lo spettacolo come anteprima, dando così al gruppo l’opportunità di raccogliere le idee, di confrontarsi con un pubblico di addetti ai lavori e di indirizzare il percorso. Gli obiettivi da perseguire, in vista di una ripresa, appaiono senz’altro la precisione, la sintesi e l’efficacia della prima parte: un lavoro di messa a punto che vale certo la pena portare a termine. Il gruppo milanese mostra coraggio e buone intuizioni: queste sì, di questi tempi, sono merce preziosa.
Maddalena Giovannelli