Com’è cominciato il progetto Fabulamundi?
Il progetto è nato insieme alla compagnia, al regista e agli attori, sapendo già in partenza chi avrebbe fatto cosa. Altre volte scrivo dei testi a casa, che vengono poi dati a delle compagnie senza sapere chi li scrive. Ultimamente mi è capitato spesso di scrivere su commissione per una compagnia o un teatro, senza sapere chi sono gli attori, ma con libertà di trama, storia e immaginazione; è bello perché scopri cose nuove. Vedere le rappresentazioni all’estero ti permette di assistere a messe in scena diverse dello stesso spettacolo, fatte da occhi completamente diversi; è stupido fossilizzarsi su una sola.
Nella conferenza ha usato l’espressione “fare il morto” parlando del suo modo di collaborare con registi ed attori, cosa intende?
Nella realizzazione del progetto, dopo aver assegnato i ruoli da svolgere a ciascun membro della compagnia, ho “fatto il morto”, nel senso che ho lasciato cambiare ad attori e regista ciò che volevano cambiare del testo.
Come nascono i suoi testi?
In generale, anche quando sono su commissione, nascono su cose di cui mi va di parlare o su cose che hanno un punto di vista univoco, quindi mi diverto a trovare visioni diverse su dei temi che mi interessano.
Com’è nato in particolare “Scusate se non siamo morti in mare?”
In questo caso è nato da un cartello che ho visto a Lampedusa, che riguardava gli immigrati e questo mi ha fatto nascere l’idea di raccontare una storia di immigrazione, non però in maniera cronachistica o cercando di suscitare patetismo, ma farlo in maniera anche ironica e in modo tale da creare un punto di vista diverso della realtà.
Spiegaci la scelta di questo titolo...
Il nome del testo teatrale è stato ispirato da un cartello che riportava la scritta “Scusate se non siamo morti in mare” e ho deciso di mantenere questo titolo per il mio testo teatrale.
Perché non hai dato dettagli sui personaggi e hai scelto quei nomi?
Volevo che fossero europei e non italiani, francesi o spagnoli; inoltre ho scelto di chiamarli Morbido, Bella, Alto e Robusto perché, nella scena in cui naufragano in mezzo al mare, l’unica cosa che conta – in quel momento – è il loro corpo: essere grassi vuol dire dare più cibo agli altri, essere salvati in nome della propria bellezza oppure essere più forti e potere prevaricare gli altri, quindi questa è l’idea della scelta dei nomi.
Perché il Morbido non rivela la meta agli immigrati?
A ognuno dice una meta diversa perché l’idea è quella che non sia tanto importante, per le persone che se ne vanno, la meta del loro viaggio, ma il fatto di andarsene da un luogo in cui non possono più stare. Questo secondo me è anche un collegamento con il presente, per cui molti immigrati che se ne vanno da una zona di guerra, zone in cui hanno hanno perso la casa, se ne vanno non tanto per andare a Milano, a Londra, ma perché devono andare via da lì. Questo è un modo per riportare ciò che accade oggi in una storia molto diversa.
C’è un legame tra te e l’Alto?
Il personaggio dell’Alto è ambivalente: da una parte lo prendo un po’ in giro perché fa cose che io non farei, cioè scrivere una storia patetica sugli immigrati, d’altra parte è anche il personaggio più simile a me perché è europeo, benestante e non ha avuto l’obbligo di dovere emigrare; infine, ha studiato filosofia, quindi nelle caratteristiche del personaggio c’è qualcosa di simile a me. Ho deciso però di cercare di renderlo più lontano possibile da me per non mettere troppo di Emanuele nel testo; infatti, il personaggio fa una cosa che io non avrei proprio fatto. L’ho odiato, ma allo steso tempo l’ho sentito a me vicino più degli altri.
Che impatto ha la critica su di te?
La critica…per me ha più importanza la reazione del pubblico. Io faccio questo lavoro perché voglio esprimermi; la persona principale con cui faccio i conti sono proprio io. Il critico più severo sono io, quindi sono io il primo a stroncare le cose che faccio e io il primo ad essere felice quando le cose che faccio mi rappresentano. Il rapporto con il pubblico è fondamentale perché non esiste il teatro senza il pubblico. La critica, dal punto di vista umano, ha il valore come pubblico, per me ha valore alla fine di uno spettacolo una critica di un amico o di uno sconosciuto come quella di un critico. Per me umanamente la critica è importante come il punto di vista del singolo spettatore.
Alessandro, Anna, Margherita, Chiara, Ludovica, Lorenzo