Il rapporto tra Massimiliano Civica e i classici è da sempre molto prolifico. E se dopo Alcesti e Dialoghi con gli Dei, c’è stata la bella digressione di Un quaderno per l’Inverno, ecco che il regista reatino torna alla carica con Antigone di Sofocle, il cui debutto è stato in questi giorni al Teatro Metastasio di Prato. È qui che lo abbiamo incontrato per una lunga chiacchierata sul suo ultimo lavoro.

Antigone è la tragedia del dualismo: le leggi degli dei contro quelle degli uomini, Antigone contro Creonte, Eteocle contro Polinice, ecc. Ma è davvero così? Nella tua versione le cose sembrano prendere un’altra direzione.

Tutto parte da una lettura più approfondita della tragedia, che spesso è invece trascurata a favore di una più semplice interpretazione melodrammatica. Infatti, a partire dalla visione hegeliana, il dramma di Sofocle si è sempre più frequentemente letto come se fosse un campo di scontro tra principi assoluti, tra due forme dello spirito. Si ha quindi maschile contro femminile, Stato contro libertà individuale. Non è così! Le complesse sfumature del teatro non si possono rendere in un semplice bianco e nero.

In quest’ottica anche la figura di Creonte cambia: se non è un tiranno, che cosa rappresenta?

Questa interpretazione di Creonte come tiranno, che è stata utilizzata spessissimo, è fuorviante. All’interno della sua rhesis, del suo primo monologo, fa un ragionamento estremamente logico contenente gran parte dei capisaldi dell’ideologia democratica. Viene introdotto come stratega, parla del vizio della corruzione tramite denaro, afferma che la legge sia uguale per tutti, compresi i suoi famigliari. Questi punti lo fanno somigliare in modo sorprendente alla figura di Pericle, che come si sa era l’uomo più rilevante della città ed era sicuramente in teatro in quella giornata del 442, quando Antigone è andata in scena. Nelle parole di Creonte si sente l’eco di quelle di Pericle nel celebre discorso in memoria dei caduti durante il primo anno della guerra del Peloponneso. Pericle ha apprezzato moltissimo la tragedia, tanto da premiare Sofocle volendolo al suo fianco come stratego l’anno successivo. Quindi, se Creonte fosse stato un tiranno cattivo, sicuramente questo parallelismo esplicito sarebbe stato rischioso per Sofocle.

Come hai operato per rendere più evidenti e problematizzare le diverse prospettive di campo?

Mi sono visto costretto a storicizzare la messinscena. Io non sono solito attualizzare i miei spettacoli, ma qui ho ritenuto che l’unico modo per rendere la complessità delle posizioni fosse farne un’allegoria attraverso una situazione che fosse famigliare al pubblico. Non ho fatto trasparire nel testo la prospettiva politica, ma l’ho fatta emergere nei costumi. Creonte, democratico radicale intransigente, è nelle vesti di un partigiano, Antigone e Ismene fanno invece parte della famiglia reale italiana e Polinice (fantoccio creato da Paola Tintinelli) è riversato sul palco vestito da Generale nazifascista. Si ricrea così la dimensione di guerra civile che si consumava ad Atene tra democrazia e aristocrazia, ma sciolta tramite la metafora della guerra partigiana. Il corpo di Polinice quindi, sotto questa luce, potrebbe anche essere un Mussolini appeso senza sepoltura in piazzale Loreto.

Come mai, nella tua Antigone, è Ismene a compiere la prima sepoltura?

Alcuni studiosi hanno notato che non servono effettivamente due seppellimenti. È il secondo che porta avanti la storia, il primo potrebbe non esserci. È infatti così, se si seguono le interpretazioni che sono state date fin ora sulla natura della prima sepoltura, ma sono spesso approssimative. Le ipotesi infatti vertono principalmente su un’Antigone indecisa, che effettua la prima sepoltura in modo incompleto, per poi tornare sui propri passi. Oppure si osa anche insinuare che Sofocle non sia stato efficace e abbia, con il primo seppellimento, aggiunto una sbavatura al testo. Quindi ho preferito seguire la pista degli indizi contenuti nel testo.

Quali sarebbero?

Innanzitutto, nel primo dialogo tra le due sorelle, si manifestano intenti molto diversi nei confronti della sepoltura del fratello: Ismene suggerisce di agire di nascosto, Antigone invece desidera che tutti lo scoprano. Cosa ci ricorda questa contrapposizione? La natura stessa dei due seppellimenti. Infatti, il primo si svolge di notte, velocemente e in modo molto discreto. Il secondo invece, rispettando il volere di Antigone, avviene a mezzogiorno, con libagioni e urla di dolore. A mio avviso, non ha senso interpretare la prima sepoltura come fosse di Antigone, infatti sarebbe totalmente incoerente con la sua lotta manifesta. Il secondo indizio si nasconde in una didascalia intradiegetica della tragedia: Creonte, dopo aver ascoltato il racconto della guardia che ha sorpreso Antigone, si rivolge alla nipote chiedendole di alzare lo sguardo. Significa che Antigone, apprendendo dalla guardia che c’è stata una prima sepoltura, è stata colta da un sussulto di tristezza e ha abbassato la testa, perché ha subito capito che è stata la sorella e teme per lei una terribile fine. Così interpretando, dunque, si risolve anche il terzo indizio: il dialogo che hanno alla fine le due sorelle davanti a Creonte. Infatti, quando Ismene chiede di condividere la morte con la sorella, Antigone le risponde «Il morto sa chi è stato a seppellirlo: solo questo conta». Sembrerebbe una risposta totalmente insensata, ma in realtà è un linguaggio in codice per assicurare a Ismene, senza che Creonte capisca, che Polinice sa che è stata anche lei a volergli offrire gli onori funebri. Tutto questo concorre a far sì che non ci possa essere una lettura diversa da quella secondo cui è stata Ismene a coprire per la prima volta il cadavere del fratello.

Come si potrebbe rispondere a tutti i movimenti femministi che hanno preso Antigone come eroina portavoce delle loro rivendicazioni?

Si potrebbe rispondere dicendo che in realtà, se lo si legge bene, il dramma racconta di una donna che si sacrifica totalmente in nome del padre. La sua famiglia incestuosa è morta, si è disgregata totalmente, ma comunque Antigone non riesce a separarsene, decide di battersi fino alla morte per far rispettare la dignità della parte maschile della sua stirpe. L’unico legame di sorellanza dell’Antigone, quello tra lei e Ismene, viene divelto a partire dalla primissima scena.

Una delle parole più discusse nella storia della traduzione della tragedia greca è δεινός. Come mai l’hai resa con miracolo che fa paura?

Miracolo è una scelta forte ed è assolutamente astorica, il miracolo in senso cristiano nella Grecia antica non esisteva. Ho voluto accostare che fa paura per mantenere l’ambivalenza dell’aggettivo così come pensato da Sofocle. Io penso, infatti, che δεινός sia la sensazione che assale quando ci si trova davanti a qualcosa di smisurato, di eccezionale. L’uomo possiede una genialità particolare, che risulta appunto eccezionale, ma questa può essere volta a fin di bene o a fin di male. Non va quindi lasciata indomata l’attività creatrice dell’uomo, perché non si sa se, quanto prodotto, andrà a costituire una meravigliosa creazione o una terribile catastrofe. Tutto va mantenuto relativo e sfaccettato. Quindi, usando questo aggettivo, Sofocle sta intendendo che nessuno possiede la ragione assoluta, ma tutti possiedono una giustificazione della loro posizione. Bisogna sempre cercare un punto di equilibrio nel governare o nel chiedere giustizia, se no si rischia di cadere nell’inciviltà. Sofocle pensa che sia Antigone che Creonte abbiano qualche ragione a loro vantaggio, ma che il loro modus operandi sia sbagliato: sono arroganti. Quindi, entrambi sono δεινός, fuori misura, per questo noi ci appassioniamo con i discorsi dell’uno e dell’altra. Ma seguendo questa loro natura eccezionale, rischiano di prevaricare in modo assoluto, rischiano il non ascolto degli altri.

Come si spiega l’ultima battuta dell’intera tragedia, quando il corifeo rivolgendosi a Creonte afferma «Adesso puoi governare. Adesso devi governare.»?

Il corifeo in questo frangente lancia un messaggio rivoluzionario. Infatti il re, avendo scoperto che ha sbagliato, che ha messo in crisi l’equilibrio dell’intero Stato, proprio allora ha il compito di governare! È una tendenza anche dell’oggi quella di allontanare dal potere i politici al primo errore che commettono. Così si deresponsabilizza l’uomo nel prendersi carico delle conseguenze delle proprie azioni scorrette. Invece è proprio nel momento in cui l’uomo sbaglia e capisce di averlo fatto che diventa veramente affidabile.

Micol Sala


Antigone
di Sofocle
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Oscar De Summa, Monica Demuru, Monica Piseddu, Francesco Rotelli, Marcello Sambati
costumi di Daniela Salernitano
luci di Gianni Staropoli
fantoccio realizzato da Paola Tintinelli
traduzione e adattamento di Massimiliano Civica
assistente alla regia Elena Rosa

produzione Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione con Manifatture Digitali Cinema Prato – Fondazione Sistema Toscana