Questa rubrica teatrale, dedicata alla drammaturgia, si ispira al celebre calapranzi di Pinter: durante la lettura ci ritroviamo in un “dentro-sotto”, mentre il testo è l’unico tramite di un “fuori-sopra” invisibile ma continuamente immaginabile, riformulabile, traducibile.
Senza retorica, quanto mai nostalgici e in trepida attesa di uscire e tornare a teatro, ricordiamo che il teatro non è una cosa chiusa ma è davvero ovunque, e le drammaturgie possono aiutarci a (ri)trovarlo.


Selezione testi a cura di: Riccardo Corcione
Editing e revisione: Corrado Rovida e Camilla Lietti
Opera in copertina: Marcello Chiarenza
Autori degli articoli: Riccardo Corcione, Francesca Di Fazio, Tolja Djokovic, Fabiola Fidanza, Jacopo Giacomoni, Carlotta Pansa, Teresa Vila


Per un teatro da leggere

 

Fin che sto chiuso qui dentro, inchiodate le finestre blindato l’ingresso e le tapparelle – le tapparelle con tutti i chiavistelli che il fabbro mi ha messo su, io sono salvo. Loro non entrano e decido io, ancora padrone della mia vita, ma è otto giorno che non vedo più un raggio di sole.
Antonio Tarantino, Stranieri (2000)

Il teatro si può leggere? In prima battuta risponderemmo di no a questa domanda, evocheremmo il contatto vivo, la presenza fisica di spettatore e performer, la comunità dell’atto teatrale, la ritualità. La lettura di un copione, in Italia più che in altre patrie del teatro, è generalmente considerata una cosa da addetti ai lavori, da studiosi o al più da curiosi appassionati. Il genere drammaturgico sembra portare con sé uno strascico di incompiutezza, che lo relega a una specie di minorità: in libreria di solito la troviamo sotto la poesia, in scaffali piccoli e ben nascosti. Il lettore che capita davanti alla targhetta «TEATRO» (laddove altri hanno «DRAMA») si ritrae confuso e nonostante possa essere uno spettatore non arriva a pensarsi come lettore di teatro. Proprio no, “il teatro” non c’è sulla carta, non è letteratura, non si può leggere.

Proviamo allora a rovesciare la domanda iniziale: le drammaturgie sono teatro? Nell’immaginario collettivo no, fanno parte del processo produttivo, della via che porta al teatro, abitano la periferia del mondo teatrale. Spesso le si pensa come una deriva del mondo teatrale, un suo derivato di carta.
Bisogna precisare che, fatta eccezione per la scrittura scenica, sarebbe semmai il contrario: esse vengono prima o avviano il processo. Per questo, in un certo senso, contengono già lo spettacolo, anzi ne contengono mille e più. Quest’idea non sembra eretica quando pensiamo ai grandi classici, a Beckett, a Shakespeare, a Euripide: cioè agli antichi, agli autori morti. Non a caso quel magro scaffale contiene quasi esclusivamente questi nomi. Vendono, almeno un po’ – come del resto in teatro. Il classico teatrale è una drammaturgia che, nonostante sia “letteratura minore”, riesce a elevarsi fino allo status “da leggere”? Alla serie A dei libri? Sembrerebbe proprio così. Dall’altro lato, intanto, i drammaturghi italiani vivi subiscono queste gerarchie culturali, faticano a vedersi riconosciuta un’autorialità tanto in ambito letterario quanto in ambito teatrale.

Non è certo questa la sede per aprire una riflessione sui canoni letterari, sull’istruzione e sulla cultura teatrale. Ci interessa sottolineare, con un pizzico di provocazione, l’ibridismo culturale e la vivace intertestualità che investono il genere drammaturgico. Ibridismo e intertestualità che spesso spingono ai margini delle librerie e dei teatri questi non-libri e non-teatri, ma che a nostro giudizio – seguendo una prospettiva maturata da Gérard Genette in poi – costituiscono le peculiarità di un genere unico. Il testo teatrale è lettera scritta in vista di una (possibile) traduzione scenica. L’alto grado di traducibilità – parafrasando un celebre scritto di Walter Benjamin – gli conferisce una grande potenza liberatrice, capace di adattarsi ai molteplici linguaggi performativi. Pensiamo agli Amleti del Novecento. Non a caso il loro primo critico “non letterario” può essere individuato nel primo dramaturg, Gotthold Ephraim Lessing: un cultore di teatro, un esperto di lingue. Similmente il lettore di oggi dovrà fare uno sforzo culturale contro il disorientamento iniziale e lasciarsi trasportare in una presenza già viva durante la lettura. Diversa da quella teatrale, ma già teatrale.

Come l’immagine del celebre calapranzi di Pinter, durante la lettura ci ritroviamo in un “dentro-sotto”, mentre il testo è l’unico tramite di un “fuori-sopra” invisibile ma continuamente immaginabile, riformulabile, traducibile. Questa rubrica teatrale, dedicata alla drammaturgia, si ispira a quell’immagine. Senza retorica, quanto mai nostalgici e in trepida attesa di uscire e tornare a teatro, ricordiamo che il teatro non è una cosa chiusa ma è davvero ovunque, e le drammaturgie possono aiutarci a (ri)trovarlo.

Riccardo Corcione


Opera in copertina e nel testo di Marcello Chiarenza