Il titolo dell’ultimo spettacolo della compagnia Oyes suona come una dichiarazione di intenti. “Io non sono un gabbiano”: quasi a mettere in guardia, chi si aspettasse di andare a vedere Cechov, che in scena non troverà Cechov. O al contrario a rassicurare chi senta una pregiudiziale noia all’idea di assistere all’ennesima reinterpretazione del dramma russo, che potrebbe rimanere sorpreso.
Ma sull’ambiguità di questa magrittiana distinzione tra testo e rappresentazione sembra giocare con efficacia tutto il lavoro ideato e diretto da Stefano Cordella a partire da una drammaturgia collettiva, esito di un lavoro di improvvisazione degli attori in scena.
Proseguendo un percorso alla riscoperta dell’autore russo iniziato con Anton e continuato con Vania, Oyes tradisce l’originale senza il bisogno di provocare, attualizzare forzosamente o ‘andare contro’. Piuttosto, mantiene temi e tensioni in un’inclinazione verso l’oggi e li porta vicini a biografie e sentimenti in cui sia possibile identificarsi. Amore, arte e morte diventano i temi-cardine di un’indagine che è ancora oggi specchio di un’intera generazione: talento, fallimento, frustrazione, solitudine, disincanto, ambizione, passione, rivalità e gelosia restano in bilico tra teatro e vita, tra professione e affetti, tra Cechov e la società contemporanea.
È infatti proprio attraverso un’indagine sui sentimenti che i personaggi vengono delineati e scandagliati. “Amore” è parola ricorrente e impronunciabile, denigrata e resa meccanica dalla deformazione della voce al microfono. “Scappiamo, valiamo più di così” dirà poco dopo il microfono, unico oggetto in scena, con voce propria, facendo da controcanto alle ambizioni fallite dei protagonisti del romanzo cechoviano.
La scelta di partire, come prima scena, dalla morte di Arkadina, madre di Kostja e attrice di tradizione e successo, sembra essere l’immediata dichiarazione di un tradimento dei padri. È questo uno dei più decisi punti di distacco dal testo originale, nel quale Arkadina è figura centrale e presente in tutto il dramma. Il conflittuale rapporto di Kostja con la madre (e per trasposizione l’avversione a una forma d’arte superata), la paura del suo giudizio, il bisogno di ribellarsi qui emergono invece, per contrasto, nella sua assenza.
Le giovani speranze degli artisti e le disincantate amarezze degli adulti si muovono con sottile ironia nell’indeterminatezza tra finzione e realtà (o tra scena e “osceno, al di là della scena” come si dice nello spettacolo). E l’ironia si gioca su un cinico disincanto e sul contrappunto: sulle note di “Ti amo” di Umberto Tozzi vengono enumerate le percentuali di divorzi e denunciata l’ipocrisia che sta dietro a una firma. O ancora, sulle note de “Gli anni” degli 883, Sorin scopre di essere morto e rimpiange tutte le cose che avrebbe dovuto e potuto fare. Nell’appoggiarsi agli aspetti più quotidiani (e mediocri) del presente, Oyes non banalizza Cechov ma ne riafferma la forza generatrice.
Io non sono un gabbiano, che ha debuttato la scorsa estate al festival Primavera dei teatri per passare poi attraverso un naturale processo di rielaborazione che lo ha ricomposto e asciugato, si presta allora a una lettura a più livelli: da una parte nella relazione con Cechov e dall’altra, forse la più interessante, nella trattazione di temi “sensibili” presenti nel testo, vicini agli autori dello spettacolo e non solo. “Io studio, non improvviso. Io lavoro” dirà il maestro Medvedenko per distinguersi dagli altri, in una disperata dichiarazione d’amore a Maša. “Io non sono un artista” ripeterà con insistenza quando riuscirà a sposarla, nell’illusione di avere vinto nell’amore.
In una delle scene più belle dello spettacolo, Nina corre attraversando il palco, nel tentativo di prendere la luce di un faro che continua a spostarsi e farsi più piccola. In questa frenesia, sembra impossibile fermarsi. Cosa siamo disposti a sacrificare per il successo? Siamo in grado di accettare un limite che non suoni come compromesso nel raggiungimento della felicità? Che si tratti di realtà o di finzione, di ieri o di oggi, la risposta, se c’è, non è consolatoria.
Francesca Serrazanetti
Io non sono un gabbiano
da Anton Cechov
ideazione e regia: Stefano Cordella
con: Francesco Meola, Camilla Pistorello, Umberto Terruso, Dario Merlini, Dario Sansalone, Camilla Violante Scheller, Daniele Crasti, Fabio Zulli
Visto al Teatro Menotti di Milano _ 15-18 febbraio 2018