Esercizio di immaginazione: prendiamo in mano una drammaturgia di un autore contemporaneo, Kossi Efoui, drammaturgo già citato all’interno dell’approfondimento sugli artisti transculturali a cui Calapranzi dedica il suo “focus nel focus” (abbiamo già discusso di altre opere che portano la sua firma, come En guise de divertissement, Le corps liquide Le faiseur d’histoires.
Il testo che abbiamo in mano si intitola Io (tragédie) e comincia con l’elenco dei personaggi, sono quattro. Voltiamo pagina e siamo di fronte a una didascalia che inquadra un luogo e lo descrive con poche parole, evocative ed essenziali: 

Dobbiamo immaginare un mercato di strada – tre bancarelle in allestimento – il banco Bellezza, il banco del Pubblico Scrivano e il banco Distilleria, tre piccole botteghe. Il banco Bellezza: paramenti fatti di interminabili “mèches” di capelli artificiali e colorati, lo si potrebbe prendere per un sipario di liane che discendono da un ramo. Vediamo dei manichini sommari, improbabili creature che indossano parrucche dipinte. (…) Il banco del Pubblico scrivano: una bacheca. Una pila di grandi quaderni. Il figlio della madre li dispone nella bacheca. Sentiamo il canto dei grilli laggiù. Laggiù, sul fondo, dove lampioni si scambiano fra loro semafori di fuochi fatui e fiumi leggeri, possiamo distinguere un immenso cartello. Una luce, lampeggiando, qualche volta vi si unisce… Seguendone i capricci, possiamo leggere qui e là delle lettere: QUESTO SPAZIO VERDE VI È OFFERTO DALLA DONAZIONE NORBERT. Sentiamo un rumore regolare di macchinari in azione. Sentiamo il cigolio di una catena sul quale si poggia il suono di una voce. 

Proseguiamo nella nostra lettura e, a intermittenza, incontriamo il mito di Prometeo. 
Prendiamoci un momento per guardarci intorno: dove siamo? Alle pendici del monte Olimpo? Tra le rupi del Caucaso? In Scizia? L’informazione che più avanti potremo dedurre dalle didascalie ci porterà in un indeterminato luogo dell’Africa.
Man mano che i personaggi iniziano a prender voce, ci rendiamo conto non solo di non sapere geograficamente dove questo Prometeo incatenato sia ambientato: scopriamo anche di vagare in una dimensione temporale incerta, indefinita, composita e varia. Abitiamo brevemente dei momenti, talvolta remotissimi, talvolta contemporanei. Persi nello spazio, vaganti nel tempo, cerchiamo allora degli appigli nel mito occidentale così come lo conosciamo e scopriamo che non li abbiamo più, appaiono e scompaiono attraverso le parole dell’autore che, come un incantatore, sembra manipolare il racconto e spostarlo continuamente dalla luce al buio, dove non possiamo più trovarlo. Sembra richiamarlo in causa solo ogni tanto, trasfigurandolo, disegnando per i protagonisti nuovi volti e nuove storie e poi sembra dimenticarlo, per ripresentarlo qualche pagina dopo contraddicendolo, disseminandolo di falsi indizi e travestimenti.
Poco a poco siamo stati trascinati in una confusa voragine, che precipita in terre sconosciute e severe, lambisce luoghi difficili dell’immaginario, affaccia su mondi che non appartengono alla nostra cultura né a quella di nessun altro e contemporaneamente sono universali perché, seppur vividissimi, non esistono.
Questa voragine sembra intessuta in maniera antichissima, fatta in trama e ordito da una scrittura volutamente arcaica, piena di pericolose escrescenze di roccia e sabbia.
Fine dell’esercizio di immaginazione. 

Kossi Efoui

L’autore Kossi Efoui è un drammaturgo, giornalista e romanziere africano, nato nel 1962 ad Anfoin (Togo). Si è laureato in filosofia all’Università del Benin. Per la sua opposizione al regime di Eyadéma, nel 1992 ha lasciato il suo Paese per autoesiliarsi in Francia. Qui è entrato in contatto con altri autori africani esuli ed è stato riconosciuto come esponente di rilievo della letteratura africana francofona. Nei suoi romanzi e nelle sue opere teatrali (che abbiamo già citato all’interno di questo focus) i temi più ricorrenti sono i ricordi conflittuali del continente di origine, i complessi sentimenti dell’esiliato, la ricerca di una nuova identità, la riflessione critica sul ruolo degli scrittori africani che vivono all’estero dopo la diaspora. Io (tragédie) del 2005, in particolare, adatta liberamente nella forma poetica di un canto, o di una preghiera, l’episodio di Io in Prometeo incatenato: la storia del suo pellegrinaggio e delle sue sofferenze, prima di partorire in Africa il figlio Epafo, si intreccia con le voci anonime delle donne africane contemporanee, vittime di guerre e conflitti etnici, abusi e stupri. La drammaturgia è stata oggetto di diversi allestimenti di cui due in Italia – a Roma e a Milano – entrambi diretti da Tiziana Bergamaschi.

Io (tragédie) presenta al centro della narrazione il personaggio dell’esule Anna, trasposizione della figura mitica di Io, stuprata da Zeus e maledetta dal padre e dai fratelli, costretta a vagare attraverso una terra pericolosa e inospitale fino «all’estremità del mondo, in un angolo di invivibile clima, chiamato le Tenebre dell’altrove». In grembo il figlio, frutto della violenza subita. Insieme ad Anna altri esuli vagano interpretando di strada in strada, in contesti di guerra precari e pericolosi, un’opera metateatrale dal titolo Prometeo. Ogni attore di questa compagnia disperata si carica addosso il peso della memoria di un personaggio: quando un membro muore o scompare a causa del conflitto, scompare anche dalla scena. A riempire l’assenza di coloro che vengono a mancare subentrano gli altri interpreti, che si fanno carico anche dei ruoli scomparsi affinché la loro storia non muoia, ma si perpetui per sempre. La compagnia presta dunque la voce alla storia eterna, ciclica, infinita di una massa sconfinata di oppressi, esuli, rifugiati: vittime senza nome di ogni tempo. 

Kossi Efoui

Le voci di questo racconto sono quelle di Anna, Masta Blasta, L’Hoochie-koochie-man e Il figlio della madre: «dunque, in teoria, [i personaggi] potrebbero rimandare implicitamente al numero-limite di tre attori più corifeo della tragedia classica; in seguito Efoui farà capire che ognuno di loro ricopre più ruoli, proprio come accade nel dramma greco», come osservato da Martina Treu in un saggio dedicato al drammaturgo..

Masta Blasta (voce)
IO
PER FUGGIRE LA TUA FOLLE FUGA
IO
IL PIEDE TUO STRAPPANDOSI DAL SUOLO
PER COMPIERE UN BALZO PRECISO NELL’ARRESTARSI
DALLA TERRA D’EUROPA FINO ALLA TERRA DEL NILO
FINO IN TERRA D’ETIOPIA
IO
HA SLANCIO SUFFICIENTE IL TUO PIEDE 
PER FUGGIRE LA TUA FOLLE FUGA
A ME
MIA MADRE THEMIS
O GAIA LA TERRA 
HA APPRESO OGNI COSA NELLA VEGGENZA
IN CHE MODO SI COMPIRÀ L’AVVENIRE
IO

Vediamo Anna con la marionetta di Io, Anna pettina la marionetta di Io. Stessa acconciatura: un’unica treccia punteggiata, dalla nuca fino al cielo, fuscelli di capelli raccolti in piccole trecce intorno all’antenna, la fronte rasata.
Il figlio della madre. La bacheca. Qualche quaderno aperto.

Il figlio della madre
“Quella là, quella là, quella là”
Il mormorio della Diceria
Sappiamo cos’è
convulsione di voci severe
come campanello per lebbrosi così pigola
quando pigola la diceria –
Quella là
Quella là, sventura per la razza intera, creatura –
Dicono che abbia avuto uno slancio, la Fiera
Sappiamo, di questi tempi, come l’eleganza
sia vittima d’oltraggio
A quel tempo il potente di un giorno si definiva
l’Eterno, l’Eroe di un giorno si definiva l’Unico
e il suo pseudonimo era Dio
E protetto da questo pseudonimo
Zeus d’Olimpo, questo suo vero nome, firmava
Oracoli, un genere letterario che alcuni chiamano
profezia
Scrittura automatica di Dio
E in queste scritture sta scritto: l’onore
dell’Eroe
è d’oltraggiare la Fiera
quella là
Io
Quella che sopprime soprannominavano la ribelle a Dio
Quella là/ quella là/quella là
È la fanciulla che Zeus oltraggerà.

Il mito ha la funzione di collegare la dimensione personale con quella transpersonale, va oltre il tempo e lo spazio e consegna le sue narrazioni a una dimensione eterna. L’immaginario mitologico accende quello stato di meraviglia e stupore che ci proietta nel regno spirituale, quel regno della trascendenza che svela il “senso”. Attraverso le vicende di Prometeo e attraverso le vicende del mito occidentale di Io, di cui Anna è metainterprete, si raccontano le vicende di milioni di Io, di un intero popolo, oltraggiato, esiliato, disperso. Di una terra martoriata dal colonialismo. Nella fusione catartica tra le due culture, Kossi Efoui sembra fare lo stesso con la scrittura e la drammaturgia, in un atto creativo capace di trasformare la ferita in qualcosa di sublime e di universale: prendere una parabola mitica, accartocciarla, piegarla, schiacciarla, nasconderla o esibirla, usarla per raccontare un’altra storia, quella della diaspora africana. Plasmarla. Prendere la frase, scriverla, e poi contrarla, scomporla. Spostarla. Ripeterla. Insabbiarla ed incrostarla. Bruciarla. Prendere le parole e impararne il senso, cambiarle, ripeterle fino a svuotarle, e poi alitare su di esse la vita, attraverso un canto sacro che le rende invincibili. 

Fabiola Fidanza


Le traduzioni del testo sono di Alessandro Jedlowski