di Valeria Raimondi, Enrico Castellani e Vincenzo Todesco
visto all’Elfo Puccini di Milano _ 5-10 maggio 2015

Tocca con mano la fede // Il tuo Gesù personale
Qualcuno a cui dedicare le tue preghiere

Qualcuno a cui importa // Il tuo Gesù personale
(Depeche Mode)

Dal Cantico dei Cantici a Personal Jesus dei Depeche Mode il passo non è né breve né scontato. Né lo è portare in scena il personaggio di Gesù o ciò che esso rappresenta. A più riprese, e in forme molto differenti, che siano considerate più o meno sacrileghe, l’arte ci ha provato, il teatro in testa, da Romeo Castellucci a Jan Fabre.
Ora è il turno dei Babilonia Teatri, gruppo veneto attivo dal 2006 che in più occasioni ha lavorato su argomenti delicati, e per alcuni versi ancora tabù, quali la malattia e la morte. Con Jesus (già presentato a Vie Festival di Modena nel 2014 e al 67° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza) il tema diventa il confronto con la religione, in una rilettura pop della sacralità e del senso religioso nella loro veste attuale, anche negli aspetti più materiali e commerciali.

La performance è un’escalation emotiva: il pubblico è bombardato, prima solo verbalmente, tramite il flusso ininterrotto di parole che da tempo caratterizza la compagnia veneta. Poi l’attacco diventa anche fisico: un cannone manovrato da Enrico Castellani, questa volta non protagonista in scena, sputa santini di Gesù che ricadono sulla testa degli spettatori in una sorta di beffarda e gratuita benedizione urbi et orbi.
Castellani e Raimondi scelgono quindi di affrontare la religione ricostruendo prima l’invasione del sacro nelle nostre vite quotidiane, basti pensare allo scrittore più in voga del momento, Papa Francesco, i cui libri vanno a ruba persino in autogrill. La partenza è buona e accattivante, ma la rassegna di stereotipi e cliché rischia di lasciare la riflessione a uno stadio superficiale, comprese alcune citazioni forse un po’ d’obbligo, come quella del Cantico dei Cantici.

La svolta, per i Babilonia (e per lo spettacolo), è la preghiera a un Gesù ‘personale’, che ciascuno può decidere di invocare, pregare, servire e amare nel modo che più sente autentico e congeniale: una religione che non ha più dogmi sociali imposti, ma diventa modus vivendi autonomo. Lo stimolo sono le parole del figlio Ettore: è per lui, sembrano dirci Castellani e Raimondi, che ancora crediamo e abbiamo bisogno di un Dio.
Una riflessione intima, personale, sincera, che sembra però perdere di vista la dimensione sociale e politica: è inevitabile, oggi, fermarsi a una prospettiva individuale? E se lo spettacolo suggerisce possibili risposte per il percorso umano e artistico dei Babilonia, quali sono invece quelle di una generazione che sembra non aprire le porte al proprio Jesus?
Tra momenti riusciti, passaggi non del tutto risolti, e qualche (inevitabile) nota buonista, lo spettacolo ha il pregio di affrontare con coraggio e profondità questioni e domande universali, troppo spesso trascurate dal nostro teatro.

Giulia Alonzo