regia di Enrico Casale – Compagnia degli Scarti
visto al Pim Off di Milano_14 al 17 Novembre 2014
La compagnia degli Scarti torna a immischiarsi col potere, a chiudere il cerchio della trilogia iniziata con Ubu Rex e proseguita con La Serva Padrona, sempre presentati in questi anni nella cornice del Pim Off. Lo fa con Kaligola, liberamente tratto dal Caligola di Camus, dramma di lunga gestazione che porta a sua volta a compimento un altro trittico, quello che insieme a Lo straniero e Il mito di Sisifo viene definito ‘dell’assurdo’.
Kaligola. Con la kappa. Quasi un vezzo di antiautoritarismo simile a quello di certi studenti che, in preda a un’irriverenza adolescenziale e naïf, scrivono ‘skuola’ e ‘okkupazione’. Eppure nelle mani degli Scarti, la kappa è, prima di tutto, il segnale di una riappropriazione, di una scelta, di un linguaggio preciso, quello dei B-movie anni Settanta: il parallelismo comincia fin dal titolo, dove, sempre con quella lettera poco in voga nell’alfabeto italiano, si ricalca la roboante e velleitaria internazionalità di certe pellicole low cost, scarse nel budget quanto nella qualità. Anche la trama palesa da subito il gusto per il pastiche grottesco tipico di molti film di questo (macro)genere: in fondo al mare, in un bunker della fantomatica Federazione un gruppo di volenterosi (scienziati, generali, psicologi, ecclesiastici, attori) è alle prese col tentativo di rieducare un rinato Caligola, per poterlo poi re-immettere, una volta guarito dalle sue celebri devianze, nel corso della storia ed evitare il destino apocalittico che sembra spettare all’umanità.
Fantapolitica a tinte forti, impregnata di umorismo satirico, condita con pulsioni sessuali, inclinazioni alla violenza, riferimenti espliciti alla psicanalisi, alla storia e alla letteratura. Universo multiforme per eccellenza, quella dei B-movie è una realtà dove il citazionismo la fa da padrone: ecco allora diventare lampante come il modello dell’operazione degli Scarti non si limiti ad essere il dramma di Camus, ma anche l’Io, Caligola di Gore Vidal, diretto da Tinto Brass con la complicità di Bob Guccione, il Rocky Horror Picture Show, Rosemary’s baby, Brazil e, soprattutto, Arancia Meccanica (per citare solo alcuni tra i rimandi più evidenti). Come non riconoscere infatti nella terapia a cui è sottoposto il Caligola di Paola Tintinelli, la Cura Ludovico con cui si rieducava Malcolm McDowell nel film di Kubrick? Come non identificare nei suoi tratti gentili, nella mimica spaurita, lo stesso apparente candore di Rocky, la creatura concupita dal ‘dolce travestito dalla transessuale Transilvania’? Si tratta di un gioco insistito, a tratti scoperto, che la compagnia spezzina continua nel decor razionalista delle deliziose scenografie di Alessandro Ratti, nei costumi sfrontati in salsa steam-punk, nelle musiche capaci di accostare sonorità quasi hard core a un Jannacci d’annata.
Melting pot ‘fumettoso’ dunque, in cui la riflessione sul potere è innanzitutto metodologica: sta nella parodia, nell’uso del carnevalesco, nell’abbassamento programmatico delle estetiche ufficiali. Ciò nonostante, se l’ipertrofia di linguaggi funziona e diverte, è nello sviluppo dei contenuti che, come nel più classico dei B-movie, il vitalismo espressivo non trova un’adeguata corrispondenza. L’idea portante dello spettacolo – che vede gli esponenti del ‘progetto K’ (i rappresentanti dei vari poteri sociali, scientifici e religiosi) soccombere nel confronto col tiranno – si risolve in uno scambio a tratti prevedibile, ricco di didascalie, dove l’impossibilità di imprigionare il potere (Kaligola viene rinchiuso in una bolla, in una cassa, in una gabbia) si fa leitmotiv ripetitivo. Gli Scarti, in parte, sono chiarissimi: lavarsi le mani dall’autorità, delegarla a chi riesce a gestirla con spregiudicatezza, è un atto liberatorio, quasi catartico, ma dalle conseguenze nefaste. Tutti gli altri filoni di riflessione del loro spettacolo risultano invece solo abbozzati: pennellate disordinate di un ragionare manierista, non riescono a infondere alla complessità della materia un’organicità compiuta, ma la riducono a un chiassoso, per quanto espressivo, diorama sul potere. Eccessivo, come il suo protagonista, per aver troppo amato.
Corrado Rovida