Tre splendidi corpi scolpiti. Abitano il palco, si muovono con eleganza, si donano allo sguardo dello spettatore come statue. Poi entra in scena un quarto corpo, che esibisce gioiosamente la propria diversità dagli altri tre. In questa semplice dialettica, che si dispiega nei primi minuti dello spettacolo, è custodito il nucleo di senso di Graces, la nuova creazione di Silvia Gribaudi: un beffardo sgambetto agli automatismi del nostro immaginario. Le tre grazie della tradizione sono donne? Qui invece sono tre aitanti danzatori (i bravissimi Siro Guglielmi, Matteo Marchesi e Andrea Rampazzo). Il modello dominante di bellezza che ci viene proposto è la passiva tensione verso un’impossibile perfezione estetica? Qui si rivendica la possibilità di non subirlo, e di reinventarlo. I ruoli di potere sono più spesso in mano agli uomini? Qui a guidare le truppe è Silvia Gribaudi, che si esibisce e si determina come regista in scena.

In tempi in cui le questioni legate al genere e alla sua relazione con il potere sono spesso affrontate con serietà e intransigenza, Silvia Gribaudi (che firma coreografia e drammaturgia con Matteo Maffesanti) si prende il gusto di attraversarle con una risata e di sottoporle al pubblico con l’ironia sottilmente clownesca che è da sempre il suo marchio di fabbrica. La coreografia si appropria con libertà delle più trite icone del femminile e del maschile per demistificarle con spirito queer: dalle arti marziali al nuoto sincronizzato – senza rinunciare nemmeno allo streptease – tutto viene masticato, riutilizzato, cambiato di segno. In definitiva i quattro performer non fanno altro, per i contagiosi cinquanta minuti della performance, che mostrare l’inconsistenza di definizioni e schemi: si agghindano con bislacche corone di fiori, riproducono stilemi neoclassici operandone una scanzonata parodia, si lasciano andare a tecnicissimi soli di classica proprio mentre affermano il proprio disinteresse per la tecnica.

© Luca Del Pia

Gribaudi, come nei precedenti lavori, si affida alla sua capacità di relazione con il pubblico rendendolo un vero e proprio asse di composizione coreografica: movimenti e immagini sono costantemente proiettati all’esterno attraverso sguardi, ammiccamenti, onomatopee, brevi frasi. E ci si può persino concedere – perché no? – un breve intermezzo in cui discutere con gli spettatori del tema dello spettacolo mentre ci si asciuga il sudore e si beve una bottiglia d’acqua.

Il pubblico risponde prima divertito, poi partecipe, e infine viene letteralmente travolto: la complicità in scena dei quattro performer, la loro energia cinetica, il percepibile piacere di danzare aumentano fino a straripare, proprio come l’acqua che irrora la scena nel finale. Sembra che il meccanismo sfugga di mano, deragliando nella direzione di un facile compiacimento e corteggiando gli entusiasmi del pubblico? La nitida ricerca delle immagini – che parte da Canova, passando per i nudi di Mapplethorpe, fino ad approdare a un vitale immaginario pop contemporaneo – ci invita a mettere da parte preconcetti e snobismi, e a guardare lo spettacolo come atto di consapevole, gioiosa e sfrontata seduzione.

Maddalena Giovannelli


Graces
drammaturgia e coreografia Silvia Gribaudi, Matteo Maffesanti
con Siro Guglielmi, Silvia Gribaudi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo
luci Antonio Rinaldi
direzione tecnica Leonardo Benetollo
produzione Zebra
coproduzione Santarcangelo Festival

visto al Chiostro di Santa Chiara nell’ambito di Kilowatt Festival _ 21 luglio 2019