Una giovane donna, sospesa nell’istante in cui sorvola una distesa marina: staccatasi con un salto da uno scoglio roccioso, si protende verso un rettangolo di luce violacea, un portale socchiuso su una realtà altra, straniera. L’immagine totemica dell’edizione 2023 di Kilowatt Festival rivela, nella giustapposizione di elementi ora riconoscibili, ora fantastici e astratti, quella complessità di posture e attitudini che ha da sempre contraddistinto la direzione di Lucia Franchi e Luca Ricci, con il loro slancio verso nuove esperienze, nuovi formati e processi curatoriali e artistici. Era infatti ancora il 2007, quando il pionieristico progetto dei Visionari prendeva corpo: un’esperienza adesso consolidata, un modello seminale di collaborazione tra spettatori e operatori, sul modello della quale sono sorti, ovunque in Italia, innumerevoli percorsi di inclusione del pubblico nei processi decisionali. E se il territorio delle direzioni partecipate appare ormai pienamente conosciuto – tanto nelle sue zone più placide quanto in quelle telluriche – ecco che Franchi e Ricci sembrano volere spostare nuovamente i confini della spettatorialità, arricchendo di ambiti e discipline, di sguardi e suggestioni la città mutevole e ibrida delle arti performative. Forse anche per questa propensione all’ignoto, Capotrave/Kilowatt ha saputo mutare in opportunità l’emergenza Covid-19, offrendo ad artiste e artisti – grazie al progetto delle Residenze Digitali, inaugurato nel 2020 – un’occasione di esplorazione dello spazio virtuale. Oggi, a distanza di sicurezza dalla pandemia e dalla chiusura delle sale teatrali, è però con sufficienza o malcelato fastidio che siamo soliti osservare qualsiasi declinazione digitale della ricerca scenica; ciò appare tanto più paradossale – o invece pienamente coerente? – considerata la crescente dimensione onlife, al contempo materiale e interattiva, della nostra quotidianità.
È anche come conseguenza della marginalità di questo linguaggio nel dibattito critico – una distanza a tratti percepita come colpevole – che la seconda settimana di programmazione del Festival ha riunito a Cortona studiose, operatori, artiste, curatrici, accomunati dal tentativo di rispondere alla domanda Chi ha paura del teatro digitale. E a margine del convegno – che ha cercato di delineare la dimensione storica delle connessioni tra palcoscenico e tecnologia, così come l’attuale stato della ricerca artistica in digitale – la comunità degli spettatori e delle spettatrici ha potuto osservare gli esiti scenici, ibridi, di opere nate nell’alveo del progetto delle Residenze Digitali. Them – immagine movimento, l’opera di gruppo nanou vincitrice del bando 2022, è stata così proposta negli spazi del Chiostro di Sant’Agostino in un formato imprevisto, quasi una risultante secondaria di una ricerca inizialmente indirizzata all’ambiente online: ancora una volta, il manifesto di questa edizione di Kilowatt, con quella sua ambigua cristallizzazione di un moto, è sembrato poter rappresentare efficacemente la nostra esperienza percettiva di fronte a un’opera anfibia, in aperta dinamica tra la tradizionale compresenza tra performer e spettatore, e la dislocazione spaziale di un evento live che ha luogo altrove.
Diviso in due gruppi, il pubblico può così trovarsi in una sala allestita soltanto con uno schermo, o alternativamente in uno spazio teatrale convenzionale, affinché di un’identica performance si abbiano due esperienze differenti, complementari, tra loro incommensurabili ma fruibili in rapida successione. Nella sala video, lo schermo restituisce in quadrivisione, in un sontuoso bianco e nero, ciò che sta avvenendo sul palco: Carolina Amoretti e Andrea Dionisi abitano un ambiente neutro, dominato da due quadrati intersecanti. La loro è una danza di rotazioni e spirali, di pause alle quali succedono brevi frasi agite in solitudine, quasi che l’incontro tra i corpi sia una promessa costantemente tradita: una mobilità sferica, che non contraddice la severità della scena ma anzi la esalta, costituendone un contraltare e riverberando la duplicità del processo spettatoriale. Eppure, più che la coreografia firmata da Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, ad attrarre l’attenzione sono le plurime prospettive di visione offerte al pubblico: zenitale, in grado di accentuare le sequenze di floor work; frontale e mobile, a restituire close-up dei gesti; una doppia angolazione obliqua dall’alto, così da offrire le inconsuete visuali che si avrebbero dalle americane poste sopra il proscenio. È un panopticon cinematografico, quello edificato da gruppo nanou; privo di qualsiasi violenza o pulsione di controllo, esso sembra piuttosto originare una coreografia dello sguardo. A emergere è infatti un disegno organico e coerente, un tentativo inane – e proprio per questo incisivo – di offrire la totalità delle visioni possibili, facendo deflagrare la limitatezza della fruizione tradizionale. Anche questa, tuttavia, è garantita dal dispositivo attuato in Them: dopo il cambio di location, la vista è finalmente rivolta al proscenio. A costituirne il punto di fuga non è però il movimento di Amoretti e Dionisi, né tantomeno lo sono i tre schermi televisivi posti sul boccascena, con le loro ulteriori, differenti vedute sulla performance, bensì la danza agita da Rhuena Bracci, che segue i danzatori con una telecamera a mano, costeggiandone le parabole e intercettandone le traiettorie. Qui, in questa trasformazione in danza di un’azione puramente tecnica – e, specularmente, nel tentativo di rendere il gesto danzato trasparente, del tutto residuale rispetto all’atto della sua visione – Them sembra emergere come eccellente exemplum di una ricerca ancora in fieri: sospesa, come la donna in volo sul mare, tra tradizione e innovazione tecnologica, ma già in grado di mostrare di entrambe contaminazioni inattese e rivelatrici.
A Cortona, la danza ha abitato anche la città, ritagliandosi uno spazio d’azione tra i turisti e i tavolini del bar, ai piedi della scalinata del Palazzo Comunale che domina piazza della Repubblica. In questo contesto la compagnia EM+, composta da Emanuele Rosa e Maria Focaraccio, ha proposto una versione outdoor di all you need is, sviluppato e danzato insieme ad Armando Rossi. In pantaloni e sneakers – invece del solo intimo che indosserebbero in una sala teatrale – i tre danno vita a una danza di attese, di approssimazioni, di contatti e fughe: a offrirsi è un rituale di seduzione ed erotismo, di amore – come ricorda il titolo beatlesiano – e disamore. Ma è con le concrezioni di un ménage à trois, tenero quanto intenso, che qualsiasi ordinarietà binaria prova qui a misurarsi. Si guardano, i danzatori: si avvicinano a coppie fino a sfiorarsi, fino a percepire l’altrui respiro, mentre il terzo li osserva e attende che una nuova combinazione lo renda protagonista e non più spettatore. E quando le conformazioni del duo finalmente accolgono l’altro, sottoponendo le figurazioni tradizionali – normali, perché normanti – alle torsioni imposte dal triangolo, gli equilibri si fanno coraggiosi e precari, i lift fantasiosi, le aggregazioni impreviste. I passi che si susseguono sono ora citazioni barocche, ora debitori dei balli da sala, in un mash-up che ingloba non soltanto stili e tecniche, quanto soprattutto i loro immaginari; su tutto domina un’atmosfera pacificata, che rifugge da qualsiasi seriosità e traccia un itinerario disteso in una geometria degli affetti non euclidea. Certo, il rischio – come ci ha ben insegnato il cinema, sin dal memorabile Domenica, maledetta domenica di John Schlesinger – è che il triangolo si riveli scaleno, e che su di esso la creatività e l’impegno non possano erigere alcun teorema; sottile, permane anche la sensazione che altri occhi e altri sguardi, differenti per genere e orientamento, possano cogliere con maggiore sensibilità le aporie e gli inciampi di questo sensuale organismo umano e coreografico: ma è un pericolo che Rosa, Focaraccio e Rossi sembrano sventare con distacco sornione.
Sfacciata ed esplosiva, ma altrettanto ironica, è la seduzione che dilaga dal dancefloor disegnato da Igor x Moreno per Collettivo MINE, l’ensemble composto da Francesco Saverio Cavaliere, Siro Guglielmi, Fabio Novembrini, Roberta Racis e Silvia Sisto. Sul palco del Teatro Signorelli, è Racis a entrare per prima in scena, e a stabilire la temperatura dell’intera performance: per lunghi minuti, il suo ipnotico movimento dei fianchi, l’oscillazione del corpo lungo l’asse trasversale, costituisce l’unico gesto agito al di sopra del martellante tappeto sonoro. È un loop che si ripete in equilibrio tra desiderio e leggerezza, colmo di quell’eros epidermico che contraddistingue i clubber e le loro interazioni. A coppie, anche gli altri mover fanno il loro ingresso, adeguandosi al ritmo imposto da Racis e disponendosi secondo una rigida geometria spaziale, che esalta le possibilità estetiche implicite nell’iterazione del movimento: in filigrana, emerge nella partitura una delle possibili eredità del magistero di Alessandro Sciarroni, così come l’esplorazione di quell’antropologia della discoteca che, da Cristina Kristal Rizzo a Salvo Lombardo, ha contraddistinto parte della ricerca coreografica contemporanea. Eppure, la creazione firmata da Igor Urzelai e Moreno Solinas – inizialmente prodotta per la sola Margherita Elliot, e adesso riproposta per il quintetto sostenuto da Fabbrica Europa – sembra ben presto discostarsi da qualsiasi abituale analisi della prossemica del club, così come dal recupero di movenze tipiche delle comunità underground, per proporre invece un mosaico iperdettagliato di gesti e interazioni estrapolate da contesti altri. Ben presto il severo, marziale procedere sincronico del gruppo si arricchisce di minime, chirurgiche variazioni proposte da un solo mover: una mano percorre voluttuosa un ventre, una lingua emerge dalla bocca e assapora la propria pelle, una galassia di dettagli millimetrici fiorisce al di sopra di una sintassi condivisa e poi abbandonata. È il momento della festa, dell’improvvisazione caotica, nella quale le immagini che si susseguono senza soluzione di continuità spaziano dallo sport, al balletto, alla vita quotidiana: ecco un match di pallavolo, ecco un arabesque, e chissà quale altro universo iconografico – saccheggiato, traslato, digerito e fatto esplodere nelle sue componenti alfabetiche – si può intravedere là, sul fondale di questo spazio notturno e vitale, in cui caracollano le identità e le definizioni, le discipline e le leggi. Al tempo di un beat energico e libero, ci avventuriamo – ancora una volta, saltando da una scogliera – verso un panorama inedito.
Alessandro Iachino
in copertina: Igor X Moreno X Collettivo Mine, Beat Forward, foto di Luca Del Pia
THEM – immagine movimento
coreografia Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci
con Carolina Amoretti e Andrea Dionisi
scene e luci Marco Valerio Amico
camera mobile Rhuena Bracci
produzione Nanou Associazione Culturale
con il sostegno di E production
progetto vincitore di Residenze Digitali, promosso dal Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), in collaborazione con AMAT, Fondazione Romaeuropa, Fondazione Piemonte dal Vivo/ Lavanderia a vapore, Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’arboreto-Teatro Dimora / La Corte Ospitale), Teatro della Tosse, Zona K con il contributo di MIC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna
ALL YOU NEED IS
di e con Emanuele Rosa, Maria Focaraccio, Armando Rossi
musiche David Gold & Gordon Rees, John Surman, Bee Gees
coproduzione C&C Company, S’ala / spazio per artist+
progetto vincitore del bando Start and Go (Comune di Genova)
con il sostegno di Twain_Centro di Produzione Danza, Periferie artistiche_Centro di Residenza del Lazio, Komm Tanz / Passo Nord, Cura – Centro Umbro Residenze Artistiche, Corsia Of – Centro di Creazione Contemporanea, Micro Teatro Terra Marique
BEAT FORWARD
regia Igor Urzelai Hernando, Moreno Solinas
aiuto regia Margherita Elliot
con Francesco Saverio Cavaliere, Siro Guglielmi, Fabio Novembrini, Roberta Racis, Silvia Sisto
produzione S’ala, Fabbrica Europa
musiche AA. VV. (mix: Igor Urzelai Hernando)
costumi Rebecca Ihle
luci Mattia Bagnoli
promozione Jean-François Mathieu
in collaborazione con Amat e Comune di Pesaro nell’ambito di Ram – Residenze Artistiche Marchigiane
e con Teatro Calderón di Valladolid nell’ambito del festival #meetyou 2023