Nicola Galli, classe 1990, mette in scena a Kilowatt il secondo e terzo episodio – rispettivamente: Venus e Mars – della sua ricerca dedicata al nostro sistema solare: un progetto eclettico che si muove tra balletto, teatro, performance e ginnastica artistica.
In Venus è Nicola Galli stesso insieme ad Alessandra Fabbri (sua maestra di danza) ad approdare sulla superficie di Venere. Ad accogliere i due un’atmosfera primordiale che ne modifica a tratti le movenze, accordandole all’inesauribile moto delle stelle. Sulla scena una trave svedese, un tubo d’acciaio e alcuni oggetti, simili a piccoli pianeti, movimentano la permanenza dei due ospiti sulla superficie di Venus, suscitando la loro curiosità e, allo stesso tempo, modificando il loro rapporto corporeo. Venere, quasi pianeta-personaggio, sembra guardarli e spingerli a muoversi in armonia con il proprio ritmo senza tempo, invitandoli a una contemplazione danzata della propria dimensione.
Alessandra Fabbri con la sua femminilità delicata e, al contempo, matura, domina la prima parte della pièce caratterizzata da pose che ricordano statue antiche e che si fanno espressione del pianeta stesso. Innalzata al pari della Dea Venere, il suo personaggio è accompagnato da un efebico Nicola Galli, trasformato per l’occasione in un giovane adepto preoccupato di allietarla e addolcire la difficile permanenza sul pianeta, facendola sorridere in danze simili a giochi di fanciulli. La nostalgia per la Terra, proiettata fin dall’inizio sullo sfondo, blocca però la fluidità dei movimenti, complicando la semplicità del loro rapporto e finendo per renderli più simili a un Adamo ed Eva novelli, desiderosi di abbandonare questa sorta di paradiso extra-terrestre. La musica a un tratto si trasforma: i freddi e tenui colori di Venus si fanno caldi e prepotenti, la danza si scioglie in un rituale tribale, in una postmoderna cacciata dei progenitori, che chiude il secondo episodio e ci introduce al terzo, riservato a Marte e alla sua colonizzazione.
In Mars la dimensione si fa più umana, più scientifica e meno onirica rispetto a Venus. Qui Nicola Galli, solo sulla scena, simula cinque diverse possibilità di esplorazione di un pianeta a noi non completamente ostile, ma certamente quasi totalmente sconosciuto. Sappiamo delle sue valli, dei deserti, dei crateri da impatto, dei suoi vulcani; conosciamo la sua temperatura che oscilla tra i -150°C e i +20°C; sappiamo che un giorno su Marte dura tanto quanto sulla Terra; eppure per noi il Pianeta Rosso è ancora ignoto, rimane alieno: è un pianeta che richiama alla mente visioni misteriose, oscure. Galli, grazie a luci ultraviolette e a infrarossi, a un telo di plastica dietro al quale appaiono forme sconosciute e a un telo nero simile a lattice che ricopre il pavimento del palcoscenico, riesce a esprimere la morfologia del pianeta rosso. La mancanza di vita su Marte viene riempita dalle coreografie del performer, “come se” fosse il primo esploratore del pianeta stesso. Suoni siderali guidano la danza di Nicola Galli che, nelle cinque differenti simulazioni di approdo su Marte, crea una grammatica gestuale capace di spiazzare lo spettatore: visioni simili a feti alieni, movenze al limite della gravità, coreografie che richiamano il movimento degli insetti e danze possibili solo in un ambiente acqueo compongono l’immaginario di Mars evocato dalla corporeità del performer stesso.
Se in Venus si percepiva una certa completezza, l’episodio dedicato a Marte necessita – comprensibilmente essendo un’anteprima, il debutto è previsto per il prossimo ottobre – ancora di qualche tempo per raggiungere la chiarezza espositiva degli altri capitoli del progetto. Ciò nonostante Mars e Venus, al netto di un certo virtuosismo che a tratti sembra prendere il sopravvento sul senso, sono due spettacoli che riescono, grazie alla forte carica evocativa che emanano, a catturare la fantasia degli spettatori. Avvolti da musiche, movimenti e suoni provenienti da altri tempi e da altri mondi possiamo metterci comodi e abbandonare in poltrona il pianeta Terra.
Camilla Fava