di William Shakespeare
regia Carlo Cecchi
traduzione Patrizia Cavalli
visto al Teatro Franco Parenti di Milano_26 febbraio-6 marzo 2016
in replica al Teatro Eliseo di Roma_8-20 marzo 2016
al Teatro Sociale di Brescia_30 marzo-3 aprile 2016
al Teatro Sociale di Como_5-6 aprile 2016
al Teatro Comunale di Bolzano_7-10 aprile 2016
al Teatro Biondo di Palermo_15-23 aprile 2016.

 

Notte di inganni, di beffe, di tempeste. Notte di travestimenti, di intrecci d’amore. In una stravagante Illiria, personaggi ingannatori e ingannati animano il folle gioco shakespeariano di Twelfth Night: or, what you will, commedia dal doppio registro, giocoso e melanconico, e dal linguaggio ricco di doppi sensi che Carlo Cecchi (qui regista e attore), ha colto con intelligenza anche grazie all’ottima traduzione della poetessa Patrizia Cavalli.

A questa commedia caleidoscopica Cecchi ha saputo imprimere una resa scenica limpida e fluida, (ri)confermandosi capace di comprendere e restituire la “complessa semplicità” di Shakespeare, da lui molto amata e frequentata. Eccellenti gli interpreti: su tutti, oltre allo stesso Cecchi, gli spassosissimi Vincenzo Ferrera (Sir Toby), Loris Fabiani (Sir Andrew) e un Dario Iubatti (Feste/buffone) le cui movenze disarticolate, unite a certe espressioni buffe, sembrano opportunamente attingere al serbatoio cinetico della ‘maschera’ Totò.

In vari momenti dello spettacolo gli attori si muovono su un piano circolare girevole chiamato a simboleggiare la giostra degli amori e degli inganni, l’imprevedibile vortice delle trasformazioni, la natura cangiante del mare, che toglie e restituisce. La piattaforma che ruota sembra anche segno del volgere del tempo, impalpabile, effimero e che – afferma – Feste  “si vendica di tutto”. E proprio come il tempo si comporterà il personaggio principe de La dodicesima notte, l’antipatico maggiordomo Malvolio, il quale uscirà di scena minacciando vendetta su tutti, gettando un’ombra scura sul lieto fine amoroso.

Vittima di una feroce burla orchestrata con una lettera piena di doppi sensi, l’austero Malvolio si abbandona a vagheggiamenti d’amore per la sua padrona, la contessa Olivia. Per compiacerla, ne osserva i presunti dettami ridicolizzando così inconsapevolmente i suoi modi autoritari e sprezzanti, invisi ai boccacceschi artefici dello scherno, Sir Toby, Sir Andrew, la cameriera Maria. Per inganno d’amore Malvolio, accetta dunque di indossare stravaganti calze gialle con giarrettiere a croce e una maschera – un sorriso ebete e fisso – trasformandosi in una folle marionetta, divertente e cupa, quintessenza di tutta l’opera. Il travestimento legato al cambio d’identità (che coinvolge più di un personaggio: Viola in abiti da uomo, Feste vestito da prete) è uno delle tematiche chiave di questa commedia. Ecco allora che  i costumi dei personaggi non sono più semplici abiti di scena ma diventano portatori dei significati altri che accompagnano le trasformazioni. Fondamentale in questa direzione il lavoro della costumista Nanà Cecchi, capace di accompagnare degnamente la metamorfosi di Malvolio, col “sole” d’amore delle calze gialle e col fosco presagio delle nere giarrettiere.

Ma insieme ai costumi anche la musica gioca un ruolo primario nell’opera del bardo. Shakespeare le aveva assegnato un’evidente centralità fin dall’inizio del I atto, con l’entrata ‘in musica’ del duca Orsino : “Se la musica è dell’amore il cibo – fa affermare fin dalle prime battute al duca – ne voglio ancora”. Ne La dodicesima notte la melodia diventa vero e proprio personaggio aggiunto, caratterizzato dai colori brillanti e malinconici che Nicola Piovani, autore delle musiche, ha saputo ben tratteggiare, soprattutto nelle partiture affidate all’oboe. Ed è proprio con il suono incantatore di questo strumento che termina lo spettacolo: da esso infatti di origina la canzone conclusiva. Feste, il buffone, coinvolge tutti i personaggi in un canto corale che è allo stesso tempo metafora della vita: rapporto con l’altro inevitabilmente in bilico tra letizie e dolori.

Raffaella Viccei