di Luigi Venezia

I poemi omerici sono stati fonte d’ispirazione per tutta la letteratura greca e, per il suo tramite, di molta letteratura europea. Tra gli episodi più interessanti e destinati a più lunga vita è sicuramente l’incontro tra Odisseo e il Ciclope Polifemo, il quale, dopo aver divorato alcuni compagni del re di Itaca, viene da questi fatto ubriacare e accecato nell’unico occhio che porta in fronte. Curiosamente – ma non troppo – le riprese teatrali della vicenda non comprendono tragedie (almeno per quanto ne sappiamo), ma solo commedie e drammi satireschi. Pur nel rispetto della trama delineata nell’Odissea, i due protagonisti si trasformano gradualmente seguendo un percorso complesso che farà di Odisseo un retore antipatico e saccente, mentre Polifemo verrà man mano umanizzato e civilizzato. Nelle prime commedie (Epicarmo, Cratino) l’attenzione è concentrata eminentemente sulla golosità del mostro, che dimostra però di possedere raffinate tecniche culinarie e di rispettare le norme sacrificali al momento di uccidere le sue vittime; nel prosieguo il Ciclope acquisirà tratti sempre più raffinati e farà sfoggio di arguzia, dottrina e preparazione filosofica (Euripide). La situazione si complicherà ulteriormente quando Polifemo sarà divenuto così umano da innamorarsi: il contrasto tra i suoi caratteri belluini e la tenerezza del sentimento che alberga nel suo cuore creerà situazioni assai spassose (Nicocare, Alesside, Antifane). La compresenza di elementi tanto differenti fanno di Polifemo una delle figure più affascinanti e longeve della letteratura mondiale.