Il calcio, si sa, è un rito collettivo. In particolare i grandi tornei internazionali scandiscono la vita dell’italiano medio, catalizzando su di sé un complesso universo di significati e aspettative politiche e personali. La semifinale degli Europei 2012 non fa eccezione: per alcuni densissimi giorni la partita tra la Germania e l’Italia di Mario Balotelli fu il perfetto corrispettivo oggettivo dello scontro tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e l’allora premier italiano Mario Monti. Durante la sera del 28 giugno 2012 un coacervo di sentimenti palpitava in tutte le case della penisola, una confusa mescolanza di antico timore, voglia di rivalsa, orgoglio campanilistico e precisa consapevolezza che, comunque fosse andata – ci insegna Ligabue – “Mario riapre, prima o poi”.
Lisa Nur Sultan ambienta il suo testo Fuorigioco proprio in quei convulsi novanta minuti, facendo coincidere quasi perfettamente il tempo scenico con quello reale. Il cardine della vicenda è un altro Mario che, affacciandosi alla finestra, scopre due sconosciuti pronti a gettarsi nel vuoto dal cornicione di casa sua. Ha inizio così uno spettacolo che ha i tratti dell’assurdo in cui il confronto tra due coppie, Giampiero Judica e Francesca Porrini (gli aspiranti suicidi) e Emiliano Masala e Elisa Lucarelli (i padroni di casa) genera un dialogo che abbraccia il senso della vita, Dio, l’uomo, la crisi, le dinamiche di coppia, il rapporto tra denaro e felicità e molte altre questioni care al mondo contemporaneo. Ed è proprio per questa vicinanza al sentire collettivo che lo spettacolo è parte della selezione dei “Visionari”, il gruppo di spettatori “specializzati” ai quali è attribuito il compito di scegliere una piccola sezione della programmazione del festival Kilowatt.
La partita e il momento storico diventano rapidamente solo un pretesto per rappresentare un dramma umano che fa ridere amaramente, ma di cuore, perché ci si riconosce nei dolori e nelle gioie che contraddistinguono la vita di tutti. Il fuorigioco che dà il titolo alla produzione di Proxima Res riassume due diverse prospettive del fallimento personale: la corsa insensata del giocatore che non sa di essere in posizione di invalidità e lo scomodo ruolo del guardalinee che invece ha l’ingrato compito di segnalarlo riflettono la disperata situazione economica e personale dei protagonisti e il loro estremo tentativo di uscirne “buttandosi giù”.
Gli attori  sono bravissimi nel raccontarne i cambiamenti con un gesto, un’occhiata, una variazione del tono della voce, e la regia sceglie la via dell’ipernaturalismo, ricostruendo fedelmente il cornicione della casa dove è ambientata la vicenda, che rompe la quarta parete unicamente all’inizio e alla fine dello spettacolo, quando tecnici e attori interagiscono direttamente con la scenografia. La fresca ironia della scrittura, il ritmo scenico vivace e ben calibrato, la restituzione sincera di una lunga serie di idiosincrasie, passioni e cliché rendono facile e immediata l’affinità con i personaggi. Il passo successivo, di cui si sente la mancanza, sarebbe stato l’approfondimento delle ragioni della crisi collettiva, per risollevare gli argomenti trattati da un’immagine stereotipata. Ma Fuorigioco raccoglie e condensa l’opinione popolare in una fotografia caustica ed efficace: come la prima pagina di “Libero” del 29 giugno 2012, affissa sulla porta dell’Auditorium Santa Chiara, che recita il tristemente noto “Vaffanmerkel”.

Chiara Marsilli

Fuorigioco
di Proxima Res
visto il 20 luglio 2016 all’Auditorium Santa Chiara_Kilowatt Festival