di Rafael Spregelburd
Regia di Luca Ronconi
visto al Piccolo Teatro di Milano_10 Gennaio-5 Febbraio 2012
«Gli attori a me paiono le vittime esultanti di un tiranno al balcone» scriveva Franco Cordelli in una esilarante quanto velenosa recensione del “Ventaglio” di Ronconi. Che gli attori del Piccolo Teatro mostrino un sempre riconoscibile imprinting (tanto da rendere ‘ronconiano’ un aggettivo che evoca in un istante un modo di recitare) è in effetti difficile da negare.
In questa “Modestia” è invece proprio il lavoro attorale a convincere: i quattro interpreti (Ciocchetti, Paiato, Pierobon, Russo Alesi) dimostrano sufficiente personalità da far tesoro del virtuosistico lavoro sulla parola del maestro, senza però venirne schiacciati. Anche altri ci sono riusciti: ma si parla di attori dall’esperienza sterminata come Giulia Lazzarini o Gianrico Tedeschi. I quattro giovani si distinguono invece per freschezza, consapevolezza e per un’interpretazione mai sovradimensionata; e stupisce, anzi, notare un pizzico di ‘ronconianità’ proprio in quel Fausto Russo Alesi che proviene da una formazione ben differente e che ha compiuto i suoi primi passi accanto a Serena Sinigaglia e all’Atir. Eccezionale Francesca Ciocchetti, che lavora a sbalzo i suoi due personaggi, facendo emergere tutta la composta drammaticità di Anja e scolpendo un delizioso cammeo comico con l’alterego Angeles.
Il testo di Spregelburd, con il suo sguardo sornione ma saldamente ancorato alla realtà, contiene anche la regia di Ronconi, che si perde meno del solito in astrazioni, cervellotici simbolismi, laboriosi rimandi interni. È una messinscena pulita, che sembra voler lasciare tutto lo spazio necessario alle parole dell’acclamato drammaturgo argentino (vincitore per due anni consecutivi del premio Ubu come migliore novità straniera). Emerge bene il gioco ad incastri che collega le vicende di otto personaggi e che si muove sempre in bilico tra surreale e quotidiano: i mobili si muovono, si rovesciano, cambiano di posizione da soli, il muro cade a pezzi, ma proseguono implacabili il chiacchiericcio, gli intrighi, i dolori. La commedia scivola lentamente su un piano inclinato: questo passaggio impercettibile – uno dei punti di maggior interesse del testo e dello spettacolo – avviene con modalità diverse nei due nuclei che si muovono in parallelo.
Nella famiglia argentina (lui, lei, l’amante e il quarto incomodo) tutto si svolge in una serata in stile Carnage: i protagonisti, senza mai uscire dalle mura di casa (ci prova diverse volte il San Javier di Alesi), passano da un clima da commedia degli equivoci ad uno stato di ebbrezza collettiva nel quale si ride e si piange, si alterano i rapporti di forza, si lasciano andare le maschere. Nella vicenda – quasi cechoviana – dello scrittore tubercolotico e di sua moglie disposta a tutto per salvarlo, le cose vanno male fin dall’inizio; la morte e i sacrifici lasceranno poi il posto a riflessioni amare (“sono io che mi sono rimpicciolita per farlo brillare”, ammetterà Anja, dopo la scomparsa di suo marito) e a vite spezzate.
Spregelburd sfiora il melodramma evitando sapientemente di entrarci, e Ronconi non forza la mano. Tutto scorre liscio, dunque, a parte qualche ‘griffe’ alla quale il regista non rinuncia (nella cucina fuori scena, il forno va in panne: come non optare per una sobria fiammata esplosiva che appare dalla porta?). Complice anche una qualche freddezza che sembra pervadere l’allestimento, non manca un po’ di noia: le due ore e tre quarti di spettacolo senza pausa si sentono tutte.
Maddalena Giovannelli