di Lucrezia Manoussakis

Immaginate un barcone malandato che affronta le acque burrascose del Mar Mediterraneo. Immaginatelo stracolmo di persone provenienti dall’India, dal Pakistan e dallo Sri Lanka.
Immaginate un barcone che affonda con il suo carico e con la sua storia.
Era il 25 dicembre 1996, quando un piccolo battello pieno di migranti affondò a largo di Portopalo, in Sicilia. Punto. Tranne rare eccezioni, nessuno parlò più della tragedia. Alcuni corpi delle 283 vittime furono trovati e ributtati in mare dai pescatori che temevano ripercussioni sulle loro attività.
Solo nel 2001 il quotidiano “La Repubblica” riuscì a trovare ed a filmare il relitto, grazie ad un’inchiesta del giornalista Giovanni Maria Bellu, resa possibile dalla testimonianza di un pescatore del luogo, Salvatore Lupo. Solo allora la notizia fece scalpore, ma ben presto, malgrado gli appelli di quattro premi Nobel italiani e alcune interpellanze parlamentari, la faccenda ritornò sul fondo del mare.

Lo spettacolo, diretto da Renato Sarti, che vede in scena lo stesso regista e Bebo Storti, suo storico attore e coautore, racconta in modo a volte grottesco, a volte assolutamente geniale, la tragica vicenda siciliana. La scenografia, come è tradizione del Teatro della Cooperativa, è essenziale, consistente in un’unica impalcatura scheletrica per la nave, ma assolutamente funzionale al genere di spettacolo di cui è l’involucro. Inoltre, l’utilizzo dei filmati del giornalista, riscatta l’avvenimento dal silenzio mediatico subito allora.
Gli attori, perfettamente in sintonia, procedono nella narrazione degli eventi mediante un’alternanza di teatro comico (che pesca elementi dalla cultura popolare televisiva) e momenti di alta tragicità, mettendo in scena le tecniche cabarettistiche e di improvvisazione, con un continuo coinvolgimento del pubblico, il quale si cimenta in momenti parodistici ed ironici, ma anche tragici e disperati. Memorabile è la scena del quiz televisivo, dove un membro del pubblico è chiamato a rispondere alle domande sagaci di Bebo Storti, su scottanti argomenti di attualità e del nostro passato in modo paradossale.
Nella scena finale il pubblico, coinvolto dagli attori, viene riportato alla crudezza dell’evento di cronaca, tramite l’agghiacciante ricostruzione degli ultimi disperati minuti del battello F-174 e dei migranti al suo interno.

L’uso del dialetto siciliano e di quello milanese non risultano però molto intuibili da coloro che non li padroneggiano, ma non la chiamerei una vera e propria pecca, in quanto essa si rivela necessaria ad entrare meglio nello spirito dello spettacolo. Riassumendo, La Nave Fantasma è uno spettacolo con un impatto forte dato dalla sua schiettezza e attualità sconcertante.
In questo modo i 283 migranti tornano a galla e urlano la loro storia in modo da essere sentiti da tutti.

 

Questo contenuto fa parte del Progetto scuole di Stratagemmi_prospettive teatrali