«I guai per un regista che, in Italia, deve mettere in scena un autore, classico o moderno, che adopera il coro, cominciano proprio da lì, dal coro». Si esprimeva così, oltre vent’anni fa, Andrea Camilleri, già drammaturgo e regista prima che romanziere (A. Camilleri, Coro, in Le parole raccontate. Piccolo dizionario di termini teatrali, Rizzoli, Milano, 2001, pp. 32-33). Secondo Camilleri il proverbiale individualismo italico raggiunge il massimo in campo teatrale. Specialmente in Italia, patria del capocomicato, terra di mattatori e primedonne, c’è poco spazio per il coro.

Come studiosa di teatro greco e dramaturg specializzata nella messinscena di testi classici, ho sperimentato e documentato variamente le difficoltà comportate dal tradurre, trasporre e riscrivere un dramma antico per la scena, specialmente nella sua dimensione corale: il coro, entità collettiva composta di semplici cittadini, non professionisti, simbolico rappresentante del corpo civico – ora espressione di sue componenti, ora veicolo di opinioni individuali – è stato via via emarginato in senso fisico e testuale.
A sfavore del coro giocano inoltre vari fattori logistici ed economici: chiunque produca uno spettacolo che coinvolga più persone deve disporre di spazio e budget adeguati per le prove, deve affrontare alti costi di preparazione e gestione, oltre a pagare eventualmente figure equivalenti all’antico “maestro del coro”, quali compositore, musicisti, coreografi e tutto quel che serve a un coro degno di questo nome.

Non meraviglia dunque che il pubblico moderno, rispetto a quello antico, abbia poca dimestichezza con quest’entità collettiva. Alle difficoltà citate si aggiungono le ultime, in ordine di tempo, dovute alla pandemia che prima ha tenuto chiusi i luoghi di spettacolo, poi ha imposto limiti tali da metterne a rischio la stessa sopravvivenza. A maggior ragione ne è colpito il teatro classico: minato fin dalle fondamenta, colpito al cuore nel suo nucleo identitario e costitutivo, che lo definisce e identifica sin dalle origini, ossia proprio il coro. In quanto organismo collettivo richiede e implica – di per sé – l’ormai deprecabile condizione di “assembramento”, agli antipodi di quel ‘distanziamento’ che ci siamo imposti negli ultimi due anni. La sorte del coro durante il lockdown è apparsa a molti disperata. Eppure la “resilienza” (termine in voga, se non inflazionato, di questi tempi) appartiene al coro da sempre, come dimostra la storia del teatro: per quanto venga periodicamente emarginato, relegato a puro intermezzo, o sembri sul punto di scomparire, prima o poi riemerge dal fondo scena e si ripresenta sotto nuove vesti. Vediamo come.

non-scuola, foto Luca Del Pia

Durante la pandemia molte compagnie hanno trasferito l’attività online, con spettacoli classici trasmessi in streaming dove il pubblico e la compagnia si collegavano in rete da luoghi diversi, agli angoli estremi del mondo. Grazie a questo escamotage alcuni registi hanno potuto ampliare la platea di spettatori e di partecipanti attivi, puntando su tragedie corali capaci di unire gruppi o categorie di persone, creare legami a distanza di empatia e condivisione, favorire manifestazioni di dolore e lutto collettivo (si veda ad esempio The Oedipus Project di Bryan Doerries).

Simili operazioni su larga scala, durante il lockdown e anche in seguito, confermano che il teatro in particolare classico può rivelarsi una risorsa, un importante rifugio per teatranti e spettatori, sia pure a distanza e in frangenti drammatici. Quanto al coro possiamo dire con sollievo che non è scomparso né sembra recedere, ma anzi al contrario è decisamente in buona salute e pieno di vigore. Lo confermano le stagioni teatrali appena concluse, le rassegne di spettacoli classici dell’INDA e il festival estivi ancora in corso: si moltiplicano gli spettacoli che in vario modo puntano sul coro, tradizionale o sui generis, e ne fanno una chiave di volta, un punto di forza. Ci concentriamo qui su alcuni esempi, molto diversi tra loro, ma ugualmente interessanti e originali: per le condizioni in cui nascono e per le scelte conseguenti ci paiono proposte valide, ciascuna a suo modo, foriere di nuove strade per la messinscena e premonitrici anche per il futuro.

non-scuola, foto Luca Del Pia

Torniamo indietro al febbraio 2020, inizio del lockdown. Periferia nord di Milano, ex ospedale psichiatrico Paolo Pini: un tempo luogo di cura, ora è un centro culturale polivalente, aperto alla città, che ospita un teatro, un ristorante, un ostello, laboratori artistici e numerose associazioni tra cui Olinda. Grazie a loro si tengono qui ogni anno, tra le molte attività, i laboratori della non-scuola: un esempio innovativo e anticonvenzionale di teatro che ha già compiuto trent’anni. Nato nel 1991, da un’idea di Marco Martinelli, Maurizio Lupinelli, Ermanna Montanari (fondatori del Teatro delle Albe), iniziato con pochi laboratori nelle scuole di Ravenna e provincia, è poi dilagato in tutta Italia e all’estero, da Mons a Chicago al Senegal, specialmente nelle periferie del mondo, in luoghi degradati come baraccopoli e casermoni popolari, o per l’appunto l’ex Paolo Pini, in un quartiere periferico e multietnico. Qui ragazzi di diverse nazionalità, lingua, provenienza e religione a partire dall’autunno 2019 mettono mano a un testo di Aristofane, le Rane, che parla di bellezza e di poesia, come mezzo essenziale per salvare il mondo.

Nel febbraio 2020 il laboratorio è in pieno svolgimento, quando scoppia la pandemia: gli adolescenti chiusi in casa e isolati mal sopportano la reclusione, si tengono in contatto per via telematica, continuano a distanza le prove anche in segno di resistenza. Non si arrendono, nello spirito della non-scuola è fuori discussione sospendere e rimandare all’anno successivo. Si decide di convertire lo spettacolo teatrale in un esperimento filmico: ogni adolescente si filma a casa sua, in una serie di brevissimi video. Si improvvisano libere associazioni, variazioni sul tema, dove le parole di Aristofane sono trasposte nel presente, mescolate a poesie, canzoni, danze, riflessioni e sfoghi personali. A fine anno scolastico e a conclusione del percorso gli spezzoni video vengono selezionati e montati in rapida sequenza: il risultato è il film Ho le rane in casa (visibile sul sito olinda.org/ portfolio). All’inizio si vedono i ragazzi chiusi in casa, annoiati e depressi, senza uno scopo. Uno di loro, che impersona il dio del teatro Dioniso, li raduna e li guida fuori di casa, alla ricerca della poesia tout court: la loro ‘felicità di essere coro’ (una formula cara a Martinelli) è quella di una comunità ritrovata che in varie forme espressive e nelle inesauribili risorse dell’arte e della giovinezza esprime vitalità, passione e gioia di vivere. Per quanto originale e sui generis, questo ‘esperimento partecipato’ è a nostro avviso fedele allo spirito del coro originario, e ne fa risaltare i principi ispiratori, la coesione e la forza collettiva. Nell’ultima sequenza del film il dio e i suoi seguaci incedono a ritmo serrato, nell’ampio parco dell’ex Paolo Pini, tra i padiglioni psichiatrici, per svelare finalmente il loro vero obiettivo: l’ingresso chiuso col chiavistello – e simbolicamente forzato – è il Teatro LaCucina (la vecchia cucina dell’ospedale), che oggi ospita gli spettacoli. La discesa nell’Ade e l’intera commedia si chiudono con un accorato appello finale: un invito a riaprire i teatri, restituendoli così a Dioniso e al suo coro.

La loro preghiera è stata esaudita: nel giro di due anni, pur con interruzioni e limitazioni, siamo tornati a teatro. Migliaia di adolescenti in tutta Italia hanno potuto frequentare i laboratori della non-scuola: uno di questi, in particolare, ci è apparso il segno più eclatante del ritrovato ‘spirito del coro’. Nel settembre 2021 Martinelli è tornato alle pendici del Vesuvio: in questa zona e precisamente a Scampia (futura location di Gomorra) aveva condotto tra il 2005 e il 2008 il progetto Arrevuoto, mettendo in scena tre spettacoli in un triennio (a cominciare da Pace! Esorcismo da Aristofane), restituendo al quartiere un auditorium (costruito tempo fa e mai utilizzato) e infine passando il testimone all’associazione Punta Corsara.

Da allora i ‘figli di Arrevuoto’ sono cresciuti, hanno continuato a fare teatro e oggi nelle vesti di ‘guide’ (così si definiscono) inaugurano il nuovo progetto Sogno di volare (coprodotto da Ravenna Festival) nel Teatro Grande di Pompei, radunando circa 160 ragazzi – dalle scuole elementari alle superiori – provenienti da Napoli e dall’area vesuviana. La sfida, come sottolineano Martinelli e Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Pompei, è portare i ragazzi e le loro famiglie a vivere in modo nuovo un luogo-simbolo del turismo mondiale, che buona parte di loro non frequenta abitualmente. Nel corso dell’inverno le guide e i ragazzi lavorano su un’altra commedia di Aristofane, gli Uccelli, che parla di evasione, di libertà, di fuga, dopo anni di costrizioni e reclusione, ma anche della voglia di restare e cambiare la realtà in cui viviamo. Il risultato è un caos meravigliosamente organizzato, una cavalcata a orologeria, un volo pindarico appassionante e commovente che debutta a Pompei, passa da Ravenna ed è atteso il 22 ottobre all’Arena del Sole di Bologna (dove saranno coinvolte le scuole medie del quartiere Pilastro).

Gli Uccelli, foto ufficio stampa

Il successo è talmente travolgente che il direttore del Parco di Pompei ha chiesto a Martinelli e a Ravenna Festival di proseguire la collaborazione per altri tre anni. Molto probabilmente si continuerà nel segno di Aristofane, autore-totem delle Albe, nell’arco di quattro anni complessivi, con un focus sull’autore che a quanto ci risulta non ha precedenti in Italia né all’estero. Questa scelta è particolarmente significativa non solo perché la coralità è al centro di un progetto pubblico, commissionato, prodotto e ospitato da un luogo-simbolo dell’archeologia mondiale, ma perché si allinea con altre esperienze simili che fioriscono contemporaneamente in sedi importanti e grazie a istituzioni prestigiose, come il Festival Orestiadi di Gibellina o la Biennale di Venezia.

Per i giovani in particolare ci appare fondamentale il ritorno, dopo due anni di pausa, del Festival dei Giovani nell’antico Teatro Greco di Akrai (Palazzolo Acreide). Qui per quindici giorni si rappresentano decine di spettacoli classici, frutto di laboratori teatrali, selezionati tra le centinaia di proposte provenienti da tutta Italia e dall’estero. Il Festival, nato dal 1991, è un gioiello meno conosciuto, ma altrettanto prezioso, che dobbiamo alla Fondazione INDA, così come il ciclo di spettacoli classici al teatro greco di Siracusa: in quest’ultimo la programmazione non si è mai interrotta, seppur inizialmente con numeri contingentati di spettatori e interpreti, anche a costo di sostituire nel 2020 la dimensione corale del teatro con monologhi, duetti e performance a solo (quella stagione si intitolava non a caso Per voci sole). Altrettanto encomiabile il lavoro dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico di Siracusa, che merita una menzione speciale per aver tenuto alto il vessillo del teatro classico e in particolare del coro in questi difficili anni, con lezioni a distanza e in streaming anche aperte al pubblico (Antichi Pensieri), e per aver concluso il percorso formativo degli allievi con l’atteso debutto al teatro greco: nel 2021 con Coefore/Eumenidi, Baccanti e Nuvole e nel 2022 con Agamennone, Edipo e Ifigenia in Tauride, più la ripresa dell’intera Orestea per due sere consecutive, nel luglio 2022.

Après les Troyennes, foto ufficio stampa

Tra tutti questi spettacoli, in particolare, mi pare di ritrovare lo spirito del coro antico soprattutto nell’Edipo Re (premiato da grande successo, tutto esaurito in diverse sere, trasmesso anche da Rai5 in prima serata lo scorso 30 luglio). Il merito va al sovrintendente Antonio Calbi, al regista Robert Carsen, agli interpreti e alla compagnia ma soprattutto, a mio avviso, allo straordinario coro: ottanta coreuti di diversa età e formazione, tra bambini e anziani, professionisti e non, addestrati e diretti alla perfezione da Elena Polic Greco che ho avuto modo di intervistare a Siracusa e che si conferma, a distanza di anni, colonna portante dell’INDA insieme con la ‘veterana’ Simonetta Cartia. Grazie a loro, e agli altri docenti dell’ADDA, il lavoro di squadra inizia ben prima delle prove in teatro (molto più brevi di quanto si pensi). Il risultato non è un semplice ‘saggio’, come ancora vuole un pregiudizio duro a morire, ma il coronamento di un percorso, il banco di prova finale per il coro e per l’intero spettacolo. Non a caso le scenografie di Agamennone e Edipo Re, in scena a sere alterne, ci paiono mandare al pubblico un forte segnale simbolico: nel primo la parete scenica è rivestita di specchi, nel secondo è sostituita da una colossale scalinata dove la cavea idealmente si raddoppia. A significare come pubblico, coro e attori, sentano l’esigenza di riunirsi in teatro, ora più che mai, restituendogli la sua funzione originaria.

Ne abbiamo ulteriore conferma nello straordinario spettacolo – fortemente voluto da Antonio Calbi – che chiude la stagione 2022, in prima nazionale, Après les Troyennes del coreografo brasiliano Claudio Bernardo: una creazione originale di teatro-danza ispirata a una tragedia corale, le Troiane euripidee, che aveva debuttato nel 1988 alle Orestiadi di Gibellina. Quella versione, diretta dal regista belga Thierry Salmon, era recitata e cantata in greco antico da un coro internazionale, interamente al femminile. Nel teatro greco di Siracusa le parole di allora rivivono, alla luce della guerra di oggi, nei corpi e nelle voci di dieci interpreti: cinque danzatori, tre attrici (alcune già protagoniste del primo spettacolo, come Maria Grazia Mandruzzato), una cantante lirica e un cameraman. L’intento non è semplicemente rievocare quello spettacolo, ma riallacciare simbolicamente il filo interrotto allora: alle musiche originali composte all’epoca da Giovanna Marini (cui ora si aggiunge un inedito affidato a Cassandra) spetta il compito di incarnare i sentimenti e le emozioni comuni a teatranti e spettatori, di dar voce ai lutti e alle sofferenze di ogni tempo e luogo. Anche in questo spettacolo si avverte l’urgenza e la necessità di ritrovarsi, di celebrare insieme il ritorno alla socialità, di unirsi alla danza sia pure idealmente, come in questo senso, oppure letteralmente, come è accaduto negli Uccelli citati in apertura, al teatro grande di Pompei, dove i ragazzi a fine spettacolo coinvolgono tutti gli spettatori in un festoso ballo collettivo.

Martina Treu


Per saperne di più:

M. Martinelli, Aristofane a Scampia. Come far amare i classici agli adolescenti, Ponte alle Grazie, Milano, 2016

M. Treu, Il teatro come antidoto: Edipo e la peste, «Stratagemmi», 1 settembre 2020; Antigone, Edipo e la lunga notte dei teatri – una trilogia slegata, «Stratagemmi», 21 maggio 2021; Solo dal vivo nasce la magia del teatro. Ma riaprire le sale non basta, «Domani», online, 26 aprile 2021.

Per gli spettacoli del teatro delle Albe si vedano rispettivamente il sito: https://www.olinda.org/portfolio/; www.teatrodellealbe.com/archivio/spettacolo.php?id=53, il resoconto di Martinelli online https://www.arrevuoto.org/marco-martinelli-arrevuoto/; il Taccuino Istantanee su Centro, Periferia, Integrazione «Stratagemmi. Prospettive teatrali», 6, 2008; https://www.doppiozero.com/sogno-di-volare-se-la-scuola-riparte-dal-teatro.

Per il Festival dei Giovani, gli spettacoli classici e l’Accademia della Fondazione INDA si veda https://www.indafondazione.org. Per l’Agamennone del 2021: M. Treu, Orestee siciliane: Isgrò, Pirrotta e Livermore, «Stratagemmi», 22 luglio 2021, https://www.stratagemmi.it/orestee-siciliane-isgro-e-livermore/. Approfondite recensioni agli spettacoli si trovano in visionideltragico.it e su drammaturgia.it. Alcuni spettacoli sono trasmessi su Rai5 e visibili su Rai Play. Nuvole (2021) in particolare è visibile a pagamento sulla piattaforma digitale It’s Art.


HO LE RANE IN CASA
riscrittura da Aristofane
esito del laboratorio non-scuola 2019/20
guide Monica Barbato e Alessandro Renda
montaggio e regia video Alessandro Penta
aiuto guide Ilaria Negri e Fode Djikine Souare
con Heidi Armijos, Sarah Belguendouz, Giorgia Bernardi, Beatrice Bernardini, Rocco Cacciola, Valentina Catambrone, Camilla Colubriale, Annalena Costanzo, Giulia Debitonto, Caterina Del Pia, Teresa Del Pia, Hana Echatoui, Jury Fornari, Gabriele Gambino, Chiara Gobbo, Yinan Hu, Alba Kazazi, Francesco Ligono, Ilaria Negri, Giulia Piccin, Gabriele Ricchiuti, Camila Riccobene, Erica Romagnoli, Fode Djikine Souare, Adrian Stoican, Davide Tripodo, Riccardo Maria Visentin

UCCELLI – SOGNO DI VOLARE
riscrittura da Aristofane
drammaturgia e regia Marco Martinelli
musiche Ambrogio Sparagna
con sessanta adolescenti, Istituto Liceale E. Pascal di Pompei, Istituto Superiore Tecnico-Tecnologico e Professionale “E. Pantaleo” di Torre del Greco, Dalla Parte dei Bambini, Foqus Fondazione Quartieri Spagnoli, Arrevuoto-Teatro di Napoli
Ambrogio Sparagna organetto
Erasmo Treglia violino a tromba, ciaramella, flauto armonico
Clara Graziano organetto, tammorra
Antonio “Lione” Matrone tammorra, grancassa
spazio e luci Vincent Longuemare
costumi Roberta Mattera
aiuto regista Valeria Pollice e Gianni Vastarella
assistente alla regia Vincenzo Salzano
consolle luci Theo Longuemare
produzione Parco archeologico di Pompei
in collaborazione con Ravenna Festival, Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Giffoni Film Festival, ERT/ Teatro Nazionale
un ringraziamento ai docenti delle scuole coinvolte

EDIPO RE
di Sofocle
traduzione Francesco Morosi
regia Robert Carsen
drammaturgia Ian Burton
scene Radu Boruzescu
costumi Luis F. Carvalho
luci Robert Carsen, Giuseppe Di Iorio
coreografie Marco Berriel
musiche di scena Cosmin Nicolae
regista assistente Stefano Simone Pintor
con Giuseppe Sartori, Rosario Tedesco, Elena Polic Greco, Paolo Mazzarelli, Graziano Piazza, Maddalena Crippa, Massimo Cimaglia, Antonello Cossia, Dario Battaglia
coro Giulia Acquasana, Caterina Alinari, Livia Allegri, Salvatore Amenta, Davide Arena, Maria Baio, Antonio Bandiera, Andrea Bassoli, Guido Bison, Victoria Blondeau, Cettina Bongiovanni, Flavia Bordone, Giuseppe Bordone, Vanda Bovo, Valentina Brancale, Alberto Carbone, Irasema Carpinteri, William Caruso, Michele Carvello, Giacomo Casali, Valentina Corrao, Gaia Cozzolino, Gabriele Crisafulli, Simone D’Acuti, Rosario  D’Aniello, Sara De Lauretis, Carlo Alberto Denoyè, Matteo Di Girolamo, Irene Di Maria di Alleri, Corrado Drago, Carolina Eusebietti, Lorenzo Ficara, Manuel Fichera, Caterina Fontana, Enrico Gabriele, Fabio Gambina, Enrica Graziano, Giorgia Greco, Carlo Guglielminetti, Marco Guidotti, Lorenzo Iacuzio, Ferdinando Iebba, Lucia Imprescia, Vincenzo Invernale, Althea Maria Luana Iorio, Elvio La Pira, Domenico Lamparelli, Federica Giovanna Leuci, Rosamaria Liistro, Giusi Lisi, Edoardo Lombardo, Emilio Lumastro, Matteo Magatti, Roberto Marra, Carlotta Maria Messina, Moreno Pio Mondì, Matteo Nigi, Giuseppe Orto, Salvatore Pappalardo, Marta Parpinel, Alice Pennino, Edoardo Pipitone, Gianvincenzo Piro, Bruno Prestigio, Maria Putignano, Riccardo Rizzo, Francesco Ruggiero, Rosaria Salvatico, Jacopo Sarotti, Mariachiara Signorello, Flavia Testa, Sebastiano Tinè, Francesco Torre, Francesca Trianni, Gloria Trinci, Damiano Venuto, Maria Verdi, Federico Zini, Elisa Zucchetti
responsabile del coro Elena Polic Greco
direttori di scena Angelo Gullotta, Carlotta Toninelli
coordinatore degli allestimenti Marco Branciamore
responsabile sartoria Marcella Salvo
coordinatore audio Vincenzo Quadarella
responsabile trucco e parrucco Aldo Caldarella
costumi realizzati da Laboratorio di sartoria Fondazione Inda
scenografie realizzate da Laboratorio di scenografia Fondazione Inda

APRÈS LE TROYENNES
riscrittura dalle Troiane di Euripide
creazione per 10 interpreti, 5 danzatori, 3 attrici, 1 cantante lirica, 1 cameraman
ideazione, coreografia, scenografia e design luci Claudio Bernardo
assistenti Anne-Cécile Massoni, Marie Bach
direttore del coro Anna Andreotti, Valérie Davreux
interpreti sul palco Vincent Clavaguera, Elise Gäbele, Maxime Jennes, Cécilia Kankonda, Tijen Lawton, Carmela Locantore, Fatou Traoré, Mimbi Lubansu, Thi-Mai Nguyen.
con la partecipazione straordinaria di Claudio Bernardo e Maria Grazia Mandruzzato
con il supporto di Luna Palacios of Catania Tango Club
interpreti nel film Gabriella Iacono, Johanne Saunier
voce di Atena Marie Bach
composizione musicale Giovanna Marini, Dorian Baste
musiche Nina Simone
sceneggiatura Alain Cofino Gomez, Claudio Bernardo
costumi Agnès Dubois, Hélène Lhoest, Claudio Bernardo
realizzazione video Cristina Dias
produzione Claudio Bernardo
amministrazione Valentina Masi
coproduzioni Théâtre Varia (Be), Théâtre de Liège (Be), Charleroi Danse (Be), Fondazione INDA (It), Oriente Occidente Danza Festival (It), DC&J Création (Be), Tax Shelter del governo federale belga (Be), Residenze Charleroi Danse (Be), Centro Coreografico Nazionale Scenario Pubblico/Catania (It), Oriente Occidente Danza Festival (It), Teatro Varia (Be)
con il sostegno del Ministero della Federazione Vallonia-Bruxelles – Dipartimento Danza, Tax Shelter del governo federale belga, Vallonia-Bruxelles Teatro/Danza, SACD Belgio, WBI, Centre National Chorégraphique-Scenario Pubblico/Catania, Wakko Kapper;
con il sostegno del Comune di Ixelles; la compagnia è in residenza artistica al Théâtre Varia, Centro Drammatico di Bruxelles

in copertina: Edipo Re, foto di Maria Pia Ballarino