27 maggio – 2 giugno 2019_Milano
1. Scavi di Deflorian/Tagliarini a Zona K/Triennale
Sedie disordinate e un numero di spettatori limitato per questa performance di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, che continuano il loro percorso di rinnovamento dei modi di fare teatro degli ultimi. Con Scavi, progetto collaterale a Quasi niente – e come quello ispirato al primo lungometraggio a colori di Michelangelo Antonioni, Deserto rosso: qui la nostra recensione– ci si cala nello spazio del pubblico, a rivelargli le scoperte fatte durante lo studio del capolavoro del cineasta ferrarese. Una minuziosa indagine archeologica tra le lettere dei protagonisti, le documentazioni, le dichiarazioni, perfino un diario ritrovato di un aiuto-regista. Ma un’indagine non fine a sé stessa: attraverso lo scavo nel cinema di Antonioni, Deflorian/Tagliarini che si avvalgono per l’occasione della collaborazione di Francesco Alberici, portano in scena la nevrosi dell’uomo contemporaneo, la sua alienazione e ricerca di senso, che viene a galla in un gioco di ricordi e richiami, in cui ognuno, come Giuliana in Deserto rosso, finirà inevitabilmente per dire: “mi fanno male i capelli!”.
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2. Human animal di La ballata dei Lenna a Zona K
Tre dipendenti dell’agenzia delle entrate si lasciano studiare dagli spettatori che riempiono la sala d’attesa, come animali in vetrina. Hanno un ufficio pieno di plichi infradiciati da un’alluvione, e una giornata di mansioni deprimenti: è la routine. Il collettivo torinese La ballata dei Lenna, alla sua quinta produzione, porta in scena uno spettacolo tratto da Il re pallido di David Foster Wallace, per interrogare sé e il pubblico – con un improvviso sfondamento della quarta parete – su cosa significhi essere un “fottutissimo” essere umano. Ancora una volta il trio gioca con mezzi inusuali per indagare il contrasto tra realtà e finzione, fiction e non fiction, proiettando su uno schermo il video-reportage della giornata dei tre impiegati. La videocamera che filma in presa diretta è allora l’acuto telescopio che permette di indagare l’intima quotidianità dei personaggi, che tentano in tutti i modi di sfuggire alla noia, persistente e disumanizzante noia. E con l’occhio della telecamera si chiude anche lo spettacolo su di uno schermo vuoto, una superficie sgombra che ci ricorda, per dirla con Wallace, “il vuoto delle nostre aride esistenze al tempo del turbocapitalismo atomizzante”.
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3. Ore d’amore di Rosario Lisma al Teatro Filodrammatici
Una coppia rodata, alla Sandra e Raimondo per intenderci, si trova una notte sola in casa: i figli sono in campeggio, il giorno dopo è festa, non si lavora. È l’occasione perfetta per tornare a guardarsi negli occhi, innamorati come un tempo. Ma non è facile come sembra: il letto tondo come un orologio diventa, prima che se ne accorgano, un ring di lotta spietata, su cui, a colpi sferzanti di parole, volano le otto ore della notte, condensate in ottanta minuti, in otto quadri di esilarante commedia, di penetrante autoanalisi. Rosario Lisma porta in scena la semplice quotidianità del matrimonio, vestita d’autoironica comprensione, per sbirciare con efficacia – complici i travolgenti Debora Zuin e Nicola Stravalaci – la dolcezza e l’amarezza, le bugie e le confessioni, i segreti e le risate di qualche ora d’amore.
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Michele Ponti