21-28 ottobre 2019_Milano
1. Zvizdal [Chernobyl, so far – so close] di Berlin a Olinda/TeatroLaCucina, nella stagione di Zona K
Li avevamo lasciati la scorsa stagione mentre dai molti schermi di Pheraps all the dragons ci raccontavano il sottile confine tra realtà e finzione, li ritroviamo – sempre grazie alla lungimiranza di Zona K – in una performance multimediale incentrata sul disastro nucleare di Chernobyl. O, per essere più precisi, sui samosiols cioè chi, come Pétro e Nadia, è tornato ad abitare le lande contaminate dall’incidente e a vivere lunghe stagioni immersi nella solitudine e nella desolazione lasciate dall’uomo. Un lavoro che parte dal 2009, dalla realtà documentale raccolta dalla giornalista Cathy Blisson e che è diventato nella produzione dei Berlin un progetto performativo dal lungo respiro (2011-2015). E se una delle più acclamate serie tv dell’anno ha riportato l’attenzione proprio sulla centrale nucleare dell’ex unione sovietica, Zvizdal è l’occasione perfetta per scoprire “dal vivo” ciò che accadde dopo: un esempio di resilienza e ostinazione. In una parola, di umanità.
#nuovilinguaggi #performance #device
2. Angels in America di Bruni/De Capitani a Teatro Elfo Puccini
Sono passati quasi dieci anni da quando in corso Buenos Aires si inaugurava l’Elfo Puccini con il secondo capitolo (Perestroika) di uno dei titoli che aveva cambiato la storia recente della compagnia diretta da Elio De Capitani e Ferdinando Bruni. Angels in America aveva infatti già sbancato il botteghino e gli Ubu nella versione degli Elfi con la sua prima parte (Si avvicina il millennio) e si accingeva a fare altrettanto. Ma, successo di critica e pubblico a parte, ciò che cambiava davvero con l’adattamento italiano dell’opera di Tony Kushner era lo sguardo freschissimo con cui si metteva in scena la drammaturgia anglo americana contemporanea: la recitazione limpida, il taglio cinematografico, la serratissima costruzione narrativa da serie tv (nella migliore accezione del termine) lo hanno trasformato infatti in un classico degli anni duemila. Fortissima allora la curiosità di (ri)vederlo con un cast aggiornato e capire se quella forza espressiva che lo rese celebre brucia ancora della stessa fiamma. Agli appassionati di binge-watching si consiglia di andarci nei weekend per immergersi nella versione “maratona” di oltre sei ore. Buona visione.
#drammaturgiadautore #classicicontemporanei #provadattore
3. OTTO di Kinkaleri a Triennale – Teatro dell’Arte
Cadere, rialzarsi e cadere. L’ottavo (da cui il titolo) spettacolo di Kinkaleri ruota attorno alla ‘caduta’, simbolica e reale, e ne fa manifesto di una generazione in bilico. OTTO ha segnato un punto di non ritorno anche nel linguaggio della compagnia, nel suo lavoro di confine tra performance, danza e arti visuali (vincitore del premio Ubu nel 2002, nel 2018, la scena dello spettacolo è diventata un’istallazione per il trentennale del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato). Oggi, a quindici anni dal debutto, molte cose sono cambiate; all’interno del gruppo, nell’immaginario del pubblico, nel contesto generazionale di riferimento. Dunque cosa ancora può dirci OTTO? È uno spettacolo-simbolo di un tempo passato, o invece può interrogare anche la generazione dei millennials e dei post-millennials? Forse gli “sdraiati”, su cui oggi si fanno molte congetture, sono soltanto i figli di una caduta, da cui ancora faticano a rialzarsi…
#performance #classicicontemporanei #nuovilinguaggi
Corrado Rovida e Camilla Lietti