9 – 15 dicembre 2019_Milano

1. Macbettu di Alessandro Serra a Triennale – Teatro dell’Arte
«Macbettuuuuuuuuu!» Proprio quello, esatto! Lo spettacolo di Alessandro Serra, dopo il premio Ubu del 2017, assomiglia già a un piccolo cult. E le repliche confermano questo successo: raramente si trova lo stesso spettacolo in due stagioni consecutive della Triennale. Chi non l’ha ancora visto «deve assolutamente vederlo», chi lo ha visto lo rivede volentieri e i nuovi fan ne ripetono scene e battute – come l’inconfondibile richiamo delle streghe. La rilettura del classico shakespeariano in chiave sarda, unita a scelte scenografiche e di disegno luci crude e potenti, cattura l’attenzione di ampie fasce di pubblico. Più che il rimando alle performance dei Mamuthones (le maschere del carnevale di Mamoiada), lo spettacolo di Serra si imprime attraverso scene iconiche, geometrie poetiche e vivissime. Così vive, che non si scordano tanto facilmente.

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2. Fedeli d’amore di Marco Martinelli e Ermanna Montanari al Teatro Elfo Puccini
Naso aquilino, cappello rosso e una certa Beatrice… se lo avete già riconosciuto non è solo a causa della cultura scolastica, ma anche perché il papà della letteratura italiana non smette di parlare a noi moderni e postmoderni. Nonostante l’età, le sue parole ci piacciono perché le troviamo sempre attuali. È questa freschezza che il teatro italiano (ma non solo) ha colto, prima con la compagnia Lombardi-Tiezzi, più recentemente con il Teatro delle Albe di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. Fedeli d’amore, si potrebbe dire, è il loro ritratto di Dante, più denso e contemplativo rispetto alle grandi letture partecipate di Ravenna. Come le polaroid di una vita, i quadri scritti da Martinelli sono cuciti sul corpo della Montanari – anzi, sulla sua voce. Il recente Ubu alle sue interpretazioni premia proprio questa sua capacità vocale, mimetica e, allo stesso tempo, fortemente espressiva.

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3. Miserabili. Un’ironica atroce poesia di Milena Costanzo al Teatro PimOff
Un adattamento è sempre un’operazione complicata, piena di rischi. Specie se si tratta di un grande romanzo: trame complesse, intrecci psicologici e narratori onniscienti possono rendere il lavoro di regista e dramaturg un vero inferno. Milena Costanzo accetta la sfida con nientedimeno che I miserabili di Hugo e lo fa nel modo migliore, scegliendo di vivere quel romanzo sulla propria carne. Nessuno in questo caso specifico poteva infatti immaginare l’approdo a «un’ironica atroce poesia». Eppure sono proprio i frammenti poetici costruiti dalla Costanzo a restituirci una storia incredibilmente vicina, in cui i miserabili siamo noi stessi, le nostre vite consumate alla pallida luce della speranza. Una luce che muove, che stanca, che appassiona, che distrugge… E se fosse solo una luce artificiale?

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Riccardo Corcione