13-20 maggio 2018_Milano

1. Santa Estasi di Antonia Latella al Piccolo Teatro Studio Melato

Dopo il successo dello scorso anno (qui la nostra recensione), Antonio Latella porta finalmente a Milano il suo acclamatissimo lavoro sull’intricata saga degli Atridi: Santa Estasi è frutto del lungo percorso compiuto dal regista con giovani attori del Corso di Alta Formazione dell’ERT (Emilia Romagna Teatro). La saga – fatta di vendette, giochi di potere e sensi di colpa ereditati – prende il nome da Atreo, figlio di Tantalo, passato alla storia per il supplizio inflittogli dagli dei. Condannato a desiderare ciò che non si può avere è diventato, grazie alla lettura che ne fece Schopenhauer, emblema di quella eterna insoddisfazione che attraverserà tutte le generazioni future. La riscrittura è affidata a sette allievi drammaturghi della Civica scuola di Teatro Paolo Grassi, i quali ne hanno fatto otto spettacolo distinti che insieme costituiscono un’opera compiuta. Circa sedici ore di teatro che gli spettatori possono vedere in singoli capitoli, ognuno dei quali dedicato alle vicende di uno dei personaggi, o in due tranche consecutive: un’esperienza estatica, come suggerisce il titolo, che richiama il modo di fruire il teatro degli antichi e permette di uscire da sé immergendosi pienamente nella profonda tragedia umana.

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2. Donne che sognarono cavalli di Roberto Rustioni al Teatro Elfo Puccini

Tre fratelli seduti a tavola con le rispettive mogli e fuori la Storia che scorre. Il drammaturgo porteño Daniel Veronese racconta con approccio emotivo e non didascalico quel pezzo drammatico della storia argentina che è la dittatura di Videla e i suoi desparecidos. La narrazione complessa non rispetta la linea cronologica degli eventi e le scene non hanno consequenzialità. Ma, soprattutto, come accade nella nostra vita quotidiana, le piccole questioni familiari – fatte di bugie, liti e prevaricazioni – non vengono ridimensionate nella loro importanza dai grandi fatti della Storia. La gerarchia dei fatti è emozionale, non oggettiva. E il regista Roberto Rustioni accentua questa prospettiva mettendo un grande tavolo familiare come fulcro sulla scena: la dittatura e l’attualità rimangono fuori dalle mura della piccola stanza claustrofobica in cui si consumano comuni drammi familiari. Sia Veronese che Rustioni risentono dello sguardo ironico e grottesco di Checov, sui cui testi entrambi hanno lavorato e di cui sembrano condividere la necessità di un tono tragicomico per descrivere le complesse stratificazioni dell’essere umano.

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3. Cantico dei Cantici di Roberto Latini al Teatro Litta/La Cavallerizza

Roberto Latini torna a Milano con Il Cantico dei Cantici, uno degli ultimi testi accolti nel canone della Bibbia e sicuramente uno dei più discussi nei secoli dei secoli. Nato come poema in forma di dialogo per raccontare l’amore tra Salomone e la sua sposa egiziana Sulammita, il Cantico, oltre a una lettura didascalica, offre da sempre un’interpretazione in chiave allegorica: metafora dell’amore di Jahvè per il suo popolo o piuttosto inno alla bellezza creato? Latini sembra accogliere quest’ultima interpretazione, proponendo però un creato lontano dall’idillio immerso nella natura: con una traduzione non letteraria in cui ha cercato di trattenere il respiro e l’emozione suscitate dalla lettura del testo originario, Latini ci propone un creato contemporaneo fatto di panchine e stazioni radio, il cui realismo è sottolineato anche dalle musiche di Gianluca Misiti. L’invito di Latini è quello di lasciarsi pervadere dal Cantico senza soffermarsi sulla sua genesi e sulla collocazione tradizionale, ma lasciandosi pervadere sensorialmente dal suo profumo, dal suo respiro e dai suoi passi. Lasciandosi ciò trasportare così in quella dimensione quasi onirica in cui “le parole si accompagnano ai sogni”.

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Michaela Molinari