Gli ultimi vent’anni del teatro di Leo de Berardinis a Bologna. // Riproposti da Claudio Meldolesi, con Angela Malfitano e Laura Mariani e con “cento” testimoni; Corazzano, Titivillus collana “Altre visioni” nr. 71, marzo 2010, pp. 440 ill.. ISBN 97888 72182703.

Non è facile delineare in breve le caratteristiche del progetto editoriale La terza vita di Leo. Certamente si tratta di un libro monografico dedicato alla fase bolognese del regista Leo de Berardinis, classe 1940: quella fase, cioè, che inizia nel 1983 a partire dalla collaborazione con la cooperativa bolognese Nuova scena e che termina con la morte del regista. Ma il libro raccoglie anche la testimonianza di due proficui convegni tutti dedicati a de Berardinis, promossi dal Dams di Bologna tra il 2007 e il 2008. Ed è, nello stesso tempo, un omaggio al critico Claudio Meldolesi, scomparso nel settembre 2009 e al quale si deve la peculiare struttura del volume. Si tratta, insomma, di un caleidoscopio attraverso il quale è possibile scorgere figure differenti: quella di de Berardinis, quella di Meldolesi, quella delle due appassionate curatrici – Angela Malfitano, attrice che ha lavorato con Leo, e Laura Mariani, studiosa e collega di Meldolesi – che hanno preso in mano il progetto nell’ultimissima fase, venuto a mancare Meldolesi.

E la struttura multiforme e poliedrica del volume ben si scorge già dall’indice: il profilo di de Berardinis viene scomposto attraverso una molteplicità di voci, che, come tessere di un mosaico, arrivano a restituire, in tutta la sua complessità e irriducibilità, un‟immagine dotata di senso. “Un libro polifonico”, lo definiscono i curatori all’interno degli Orientamenti introduttivi, dalla natura “collettiva-non-sistematica”. Ecco allora, in apertura, Le voci della città e della cultura, tra cui spicca quella di Edoardo Sanguineti: in un breve scritto il poeta ricorda, come un vanto, di aver recensito già nel 1976 per “L’Unità” de Berardinis e l’allora compagnia Perla Peragallo, e di aver definito il loro antiteatro (così recita il titolo dell’articolo, uscito il 6 di marzo) “quanto c’è di più nuovo e più vivo e più vero nel teatro italiano”.

Tra le sezioni più interessanti, quella tutta dedicata agli attori: dai loro racconti – che Meldolesi e i curatori hanno deciso di sottoporre a una specifica operazione di editing per lasciarne intatte le peculiarità espositive – emerge il Leo delle prove, con il caffè perennemente in mano, o il Leo delle selezioni, capace di cercare per giorni i giusti accostamenti, anche fisici, tra gli interpreti. Oltre a quei nomi che per eccellenza sono collegati al teatro di de Berardinis – come Francesca Mazza, Elena Bucci o Marco Sgrosso – stupisce trovare alcuni attori che hanno preso poi strade differenti: così per esempio Eugenio Allegri racconta del suo provino tutto recitato in dialetto pavano del ‘500 del quale Leo giurò di non aver capito “una madosca” e, più tardi, delle sue improvvisazioni al fianco di Leo in Novecento e mille; Iaia Forte parla dell’apprendistato con de Berardinis come di una condizione “di speranza, coraggio, eroismo, che è l’alba di ogni ideale formazione”; o ancora Ivano Marescotti, volto ora noto anche nel cinema, ricorda le faticose lezioni di interpretazione poetica, dove Leo “dopo aver massacrato Gino Paccagnella che era quello con la dizione perfetta […] con me era stato molto magnanimo, forse perché pensava “qui non c’è niente da fare””.

Qualche sorpresa arriva anche alla lettura della sezione dedicata ad Altri artisti guida: qui emergono ricordi e racconti di alcuni registi che, per i motivi più svariati, hanno intrecciato il loro percorso con quello di de Berardinis. Tra questi basterà fare il nome di Marco Baliani, Marco Martinelli, Mario Martone, Federico Tiezzi e di Toni Servillo, che parla del suo rapporto con Leo come di una vera e propria “bottega per imparare”.

Solo in una seconda parte del volume – quando il lettore ha ormai preso nuova confidenza con la materia, e se l‟è vista avvicinare da racconti che molto hanno di intimo e quotidiano – appaiono vere e proprie Restituzioni, a firma di critici e studiosi. Ma anche qui, non ci si dovrà aspettare saggi asettici o percorsi critici freddi e distaccati. Non di rado – nelle dense pagine a firma di penne del calibro di Marco De Marinis, Gerardo Guccini, Massimo Marino o Andrea Porcheddu – emerge un “io”: gli studiosi si trovano a ripercorrere il momento dell’incontro o della collaborazione con Leo e, indirettamente, a ripensare così a qualcuno tra i momenti fondamentali del proprio percorso umano e professionale. La terza vita di Leo sembra capace di racchiudere un bagaglio di memoria condivisa, che da un lato ha a che fare con le storie personali di molti protagonisti della scena di fine millennio, ma, nello stesso tempo, coincide con la storia del teatro di quegli anni: il risultato – il lettore può percepirlo fin da una lettura distratta e selettiva – è un tessuto critico e narrativo sempre partecipato, coinvolto, appassionato.

In questo clima si è svolta anche la presentazione del libro presso la nuova sede del Teatro Elfo Puccini di Milano, lo scorso 18 giugno. Sono intervenuti, nessuno senza commozione, Eugenio Barba, Antonio Calbi, Elio De Capitani, Laura Mariani, Renata Molinari. Ma ad avere peso, nelle parole e nei silenzi, erano soprattutto le due assenze: quella di Claudio Meldolesi e di Leo de Berardinis. Dell’incontro e dell’empatia tra i due – che ha portato entrambi a trascendere i confini del proprio “ruolo” per entrare un po‟ in quello dell’altro – il libro porta traccia in ogni sua pagina. Ecco perché, sottolinea Laura Mariani, l‟esito è più simile a una regia che a un libro.

 

Maddalena Giovannelli