Lo spettacolo Processo Galileo, di Andrea De Rosa e Carmelo Rifici, trasporta il pubblico in un tempo che ne racchiude altri: il Seicento, che spacca in due il concetto di immobile ordine aristotelico, dialoga con un presente pieno di fantasmi e mostri, che abitano l’animo di una ricercatrice intenta a trovare un equilibrio tra Scienza e Natura.
Questo effimero contrappeso tra razionale e irrazionale ha ispirato questa ucronia, che finge di chiedersi: come sarebbero andate le cose se Galileo Galilei fosse stato processato direttamente da una divinità dispotica che governa il mondo?
Galileo Galilei ha il merito di aver tentato di mettere in discussione ciò che per millenni si era dato per scontato: la centralità della Terra nell’universo. I suoi studi lo portano ad appoggiare il modello copernicano eliocentrico, in contrasto con la dottrina imposta come dogma del Dio vivente.
Quest’ultimo decide, però, di intervenire direttamente, processando pubblicamente lo scienziato, più per umiliarlo che per rendere giustizia. Si materializza nelle vesti di una Bambina e sfida apertamente l’uomo. Ne nasce un metafisico dibattito di fuoco.
Galileo prova umanamente a spiegare le proprie ragioni, ma il Dio, man mano, ritocca il cosmo a proprio vantaggio, smontando l’imputato con una costante e rozza modifica della realtà materiale.
Improvvisamente la Terra si trova davvero al centro dell’universo, ma questo crea dei cambiamenti climatici e geografici che non passano inosservati, tanto che la gente inizia a mormorare… Il popolo si spacca. Da un lato intuisce che Galileo dice il vero, ma dall’altro si mette contro di lui perché lo scienziato, insistendo a sostenere le proprie teorie, spinge la divinità a cambiare il mondo: con tutte le conseguenze anti-antropocentriche del caso.
Galilei, scorgendo gli ultimi cambiamenti, sviluppa un’altra terribile tesi: per lui il Dio vivente in realtà dipende dall’esistenza stessa dell’umanità, senza la quale Dio soffrirebbe di solitudine e scomparirebbe.
La Bambina-Dio schernisce Galileo, sfidandolo a fornire a tutti le prove.
Ed è così che Galilei le propone un esperimento: tutti gli esseri umani saranno autorizzati a ignorare totalmente il culto al divino per una settimana, con la garanzia di non subire alcun tipo di ritorsione. Il Dio vivente, sentendo la pressione degli sguardi del pubblico, accetta.
Mentre la Divinità passa sette giorni in agitazione, focalizzandosi su un unico pensiero: “una settimana passa in fretta”, le persone trascorrono il medesimo tempo da individui liberi, gustando questa libertà e imparando rapidamente a vivere senza inutili genuflessioni.
A fine esperimento, il Dio vivente cerca nuovamente di riprendere il controllo della situazione, ma il popolo non pare più interessato a venerarlo e qualsiasi minaccia sembra vana. Il Dio è sconsolato, ma Galileo si fa avanti per aiutarlo. Gli suggerisce di trasformare ancora la realtà, tornando indietro nel tempo, fondando una Chiesa dopo essersi incarnato, così da creare un legame più stretto con gli uomini, e lasciare che siano uomini da lui scelti – gli ecclesiastici – ad amministrare gli affari del Dio. Così facendo Dio sarebbe per sempre rimasto un mistero per gli uomini, senza più compromettersi al loro cospetto e a quello della scienza. Il Dio vivente accetta e, seguendo i consigli di Galileo, fonda il mondo in cui viviamo noi oggi.
Perché Galileo lo ha fatto? Forse per il solo gusto di batterlo di nuovo.
Alessia Blum
in copertina: foto di Giorgio Marafioti
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico LACritica