Atmosfere oniriche, muri trasparenti e letti in movimento accompagnano lo spettatore lungo il complesso e visionario mondo pasoliniano del Calderón, messo in scena dal giovane regista Fabio Condemi al LAC di Lugano.

La vita è un sogno? «L’uomo che vive sogna ciò che è fino al suo risveglio» ci dice Pedro Calderón de la Barca nella sua opera La vida es sueño del 1635, da cui è tratto il Calderón di Pier Paolo Pasolini del 1966. Fabio Condemi, premio Ubu alla regia nel 2021, si interfaccia con un autore difficile da mettere in scena, un poeta-drammaturgo che fa della parola il veicolo portante di significato e che a causa della natura enigmatica del suo stile richiede uno sforzo intellettuale non indifferente per essere rappresentato.

E lo spettacolo di Condemi segue il testo pasoliniano praticamente alla lettera, con pochissimi tagli, regia e drammaturgia instaurano un gioco dialogico e continuativo.

Calderón narra di tre risvegli, o forse di tre sogni, nei quali la protagonista, Rosaura, si trova a dover fare i conti con tre contesti sociali diversi: aristocratico, sottoproletario e borghese. L’ambientazione è quella della Spagna franchista, che diventa metafora di un potere come minaccia non solo dei sogni ma della vita libera. È una storia di amori impossibili e incestuosi, che freudianamente rimandano alla scissione di un Io forte e fragile allo stesso tempo.

Come nel dormiveglia, ogni cambio scena lascia una traccia surreale, nella quale si mischiano realtà e sogno. Condemi guida lo spettatore in questo processo di risveglio attraverso vari oggetti di scena: i letti si muovono slegandosi da radici spazio-temporali; i muri delle case assomigliano a gabbie che racchiudono stereotipi e idee; le porte non sono mai completamente aperte o completamente chiuse; le immagini creano un barbaglio che si propaga di sogno in sogno e che a volte approda in un incubo, altre in idillio.

Il regista sceglie di far interpretare Rosaura e i suoi tre sogni a tre giovani attrici diverse: Matilde Bernardi, Carolina Ellero e Giulia Salvarani, che regalano sfaccettature divergenti e nuove angolazioni, così da sottolineare maggiormente la scissione interna della protagonista. Il personaggio di Basilio, invece, interpretato da un esperto Michele Di Mauro, domina sulla scena e – forse – offusca queste attrici che hanno l’arduo compito di portare sul palco non solo un corpo, ma una voce, una parola in grado di racchiudere il difficile e oscuro pensiero politico di Pasolini. C’è una grande attenzione nel trasporre sulla scena i particolari che intarsiano il testo di Pasolini, come quando il grande quadro Las Meninas di Velasquez (immagine-cardine in tutto il testo) viene calato dal soffitto al centro della scena e successivamente viene smembrato, diramandosi nella rappresentazione e restando vivo, ad esempio, in un personaggio o nel ritorno della cornice vuota.

Ci si sente piccoli a osservare il palco sapientemente curato da Condemi, che attrae lo sguardo e fa immergere lo spettatore nelle molteplici dimensioni del Calderón: l’immersione a tratti viene interrotta dalla figura dello speaker-autore (interpretato da un proteiforme Marco Cavalcoli), che rende straniante la rappresentazione e assume ironicamente una postura brechtiana.

Il Calderón viene percepito come un mistero da svelare, come una matassa disordinata da sciogliere, dentro la quale risuonano anche le pagine di altre opere pasoliniane, da Le ceneri di GramsciPetrolio e Salò. Condemi riesce in questo arduo intento senza annoiare il pubblico, nonostante le quasi due ore e mezza di spettacolo. Ore che vengono percepite come in un sogno, appunto senza lo scorrere del tempo.

Alessia Blum


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