Nel tracciare i contorni di questa quinta edizione del FringeMi, un filo rosso sembra scorgersi tra le proposte del programma ufficiale del festival: l’artista che mette in scena sé stesso. La maggior parte dei lavori presentati sfruttano la prima persona, mettono sul palco l’entità biografica del performer, affrontano e vivisezionano le elucubrazioni mentali della sua identità: uno stratagemma non certo nuovo nel panorama contemporaneo, ma in continuo sviluppo. Ciò che di questo espediente sembra stimolante e suggestivo è l’impressione di ancorarsi saldamente ai drammi del reale, rifuggendo la finzione e la presa di identità altrui.
In controtendenza assoluta sembra allora il lavoro di Francesca Astrei Mi manca Van Gogh, spettacolo vincitore dell’edizione 2023 del Fringe meneghino. Pur mantenendo quella tensione – comune a tutti gli spettacoli in concorso – a un affondo verticale sulle problematiche della nostra contemporaneità, l’artista si distingue per la categorica scelta di narrare l’altro; la drammaturgia è infatti sviluppata a partire da un fatto di cronaca nera dei nostri giorni.
Nella pièce, la visita di un gruppo disordinato e indisciplinato all’interno della sala di un museo diventa il prefetto pretesto per un’incursione nelle memorie di una giovane guida turistica (Astrei), unica presenza in scena. Il commento a un quadro di Van Gogh si trasforma così in un flusso di coscienza che consente alla ragazza di tessere un legame tra la vita del celeberrimo artista olandese e l’esperienza di un’amica dei tempi dell’università, Michela. Entrambi sono stati – per dirla con Artaud – «suicidé de la société», ossia ripudiati e soffocati dalla società sino a essere spinti al suicidio. Quando il suo ex fidanzato ha condiviso in rete un loro video intimo, Michela ha optato per il gesto estremo pur di poter sfuggire all’infamia e alla vergogna.
Questa amara vicenda viene restituita al pubblico attraverso il punto di vista del personaggio senza nome interpretato da Astrei; d’altronde a chi è sopravvissuto spetta testimoniare, nonché fronteggiare domande irrisolte e fare i conti con un asfissiante sentimento di impotenza. Il nero e vuoto Spazio Polline, collocato nel sottosuolo metropolitano accanto ai tornelli della stazione Villapizzone, si presta perfettamente alla narrazione: in questo luogo asettico, il racconto dell’attrice guida l’immaginazione dello spettatore, suggerendogli ambienti, oggetti, persone. L’estrema onestà e organicità della sua recitazione favoriscono empatia e simpatia del pubblico. Sagace è il costante salto tra registro comico e registro tragico: i due linguaggi vengono giustapposti, sovrapposti e talvolta mescolati, creando un discorso frammentato e ricco di interferenze. È simbolo e metafora dell’ambiguità del quotidiano che non lascia mai davvero spazio allo sfogo del dolore e ci chiama a reagire anche quando non ne avremmo la forza.
Dal tema del suicidio a quello del revenge porn, dalla questione della pressione sociale all’impotenza di fronte alla morte, prende forma così una messinscena intima, delicata e più che mai attuale.
Alessandro Stracuzzi
in copertina: foto ufficio stampa
MI MANCA VAN GOGH
scritto, diretto e interpretato da Francesca Astrei
luci di Tommaso Capodanno
Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2023