«Hai un foglio di carta? Bene, adesso appallottolalo. Ottimo: tiramelo!».

Mentre pronunciava questa frase Marcella Vanzo era a Milano: io a centinaia di chilometri di distanza, a Firenze. Eppure abbiamo giocato insieme, separati dal web e dallo schermo del nostro computer, lanciandoci palline di carta ricavate da un comunissimo quaderno come una coppia di bambini. Così, con un atto performativo dinamico e gioioso, Vanzo – artista e antropologa di formazione, docente di performance, autrice su testate come Exibart e Artedossier – ha dimostrato ciò che fino a quel momento stava soltanto illustrando: le possibilità di restituire forme di interazione fisica e corporea alle bambine e ai bambini confinati nelle proprie stanze dalla didattica a distanza. Con il progetto di arte partecipata #squola_pubblica, Marcella Vanzo ha creato laboratori online rivolti alle scuole pubbliche materne e primarie in quarantena, i cui nuclei germinativi hanno spaziato dal surrealismo all’evoluzione, dall’arte agli animali, rispondendo all’emergenza rappresentata dal lockdown per alunni e famiglie. È anche a partire da questo progetto che ho intervistato Vanzo, per esplorare i limiti – e le inaspettate possibilità – determinate dalla sempre più pericolosa ablazione del corpo.

È ormai evidente, anche a uno sguardo distratto, quanto all’artista si chieda con sempre maggiore insistenza di essere anche attivista: di prendere posizione, grazie alla propria opera, all’interno dello spazio pubblico fisico e metaforico, indagando i temi centrali della contemporaneità. Quali ragioni muovono, e quali declinazioni assumono, i tuoi progetti in questa prospettiva?
Per quella che è stata ed è la mia esperienza, tendo a individuare nella contingenza un fattore determinante nell’indirizzare il mio lavoro. The Momentary Now School of Performance è nato dalla convergenza di due esigenze: quella personale di mettere in pratica – durante un vero e proprio anno accademico – l’esperienza accumulata nel tempo come insegnante di performance nel corso di brevi laboratori, e quella di Zona K di istituire tra le proprie attività una simile proposta con la collaborazione di un comitato scientifico: Matteo Bergamini, Paola Clerico e Gabi Scardi e la collaborazione di diversi insegnanti e artisti, tra i quali Pietro Gaglianò e Cesare Pietroiusti. Il progetto è stato ritenuto valido anche da diverse accademie, che ne convalidano i crediti formativi all’interno del proprio piano di studi. La nostra ambizione non è mai stata proporre qualcosa che potesse fare concorrenza alle scuole, ma rispondere alla necessità di colmare un vuoto: in Italia mancava un corso così preciso e specifico, se si esclude il Master in Arti performative e spazi comunitari di Cesare Pietroiusti venuto alla luce al Mattatoio di Roma più o meno nello stesso periodo.

Però, in mezzo è esplosa la pandemia…
In effetti, la pandemia ha ridisegnato i nostri programmi, e la situazione emergenziale ci ha costretti a trovare strategie nuove, modalità innovative di erogazione del corso, sfruttando tutti i mezzi di cui potevamo disporre online. Fortunatamente, avevamo già lavorato per tre mesi in presenza e il gruppo era attivo e ben propenso. Man mano che la situazione si è evoluta e abbiamo compreso che non sarebbe stato più possibile portare a termine il progetto nel modo in cui lo avevamo programmato, abbiamo ciò nonostante continuato a lavorare con forza e inventiva, non dando più per scontato il pubblico in presenza in occasione della restituzione finale, e pianificando un esito all’aperto senza poter contare su appoggi scenografici o tecnici. Si è trattato di una sfida estrema, che ha prodotto ottime performance, nate dalla contingenza di dover lavorare in modo “puro”, contando solo su quello che ciascuno ha dentro di sé.

Marcella Vanzo (foto: Bruno Sforni)

Con #squola_pubblica, invece, hai affrontato i tanti ostacoli che la didattica a distanza ha posto a bambine e bambini, docenti, famiglie.
Anche in questo caso è stata la pandemia a dare impulso al progetto. Da marzo dell’anno scorso mi sono ritrovata chiusa in casa con due figli in età scolare, alienati dagli schermi, abbandonati a loro stessi da istituzioni troppo deboli. Avevo programmato una serie di incontri sull’arte nella scuola elementare di mio figlio minore e, sfruttando l’esperienza di didattica a distanza che stavo sperimentando con The Momentary Now, ho suggerito di tenerli online. I laboratori, che proponevano l’arte come strumento di studio e ricerca su un tema affrontato nel corso nell’anno scolastico (in questo caso, l’evoluzione), hanno riscosso grande entusiasmo, e dalla classe di mio figlio si sono estesi anche ad altre classi e ad altre scuole, fino a coinvolgere Giovanna Amadasi, responsabile dei Programmi Culturali e Istituzionali di Pirelli Hangar Bicocca. Con Giovanna abbiamo iniziato a collaborare in una prima fase per inserire il progetto tra le attività della fondazione, poi per allargarlo – grazie alla partnership con il Corso di laurea di Scienze dell’Educazione dell’Università Bicocca – fino a creare qualcosa di nuovo che potesse rispondere ai bisogni di una scuola pubblica sempre più “sgangherata”. #squola_pubblica è diventato così #fareinsiemesquola_pubblica,  un corso gratuito rivolto agli insegnanti, che proponesse loro l’arte come mezzo di ricerca per la didattica e per la didattica a distanza. Di questo progetto in particolare è stato meraviglioso l’impatto immediato, il continuo scambio di esperienze per raggiungere il risultato fondamentale: una didattica a distanza finalmente efficace per i bambini. Lavorando su forme di interazione basilare, utilizzando la tramite la performance, l’uso del corpo e alcuni stratagemmi, si può trascendere lo schermo, entrare in un’altra dimensione in cui la formazione passa attraverso il corpo.

Proprio la dimensione della corporeità è stata la vittima principale della pandemia e delle strategie volte a contenerla. E tuttavia è indubbio che il corpo, anche in virtù della sua assenza, sta assumendo un ruolo centrale nel dibattito intorno alle arti, non soltanto performative. Come possono conciliarsi la scomparsa del corpo e il suo rinnovato, necessario protagonismo?
È inevitabile che lo schermo spenga il corpo. Quello svolto davanti allo schermo di un computer è un lavoro complesso e faticoso: siamo convinti di essere e di esserci, quando in realtà il nostro corpo è azzerato. Il rischio di ablazione è altissimo, tuttavia le giovanissime generazioni sono attratte da questi schermi. La sfida è quella di spostare l’asse della conoscenza e dell’apprendimento all’interno del discente: sta nell’imparare ad insegnare e ad apprendere in modo diverso, usando di nuovo il corpo. È necessario trovare strategie per ripensare il corpo: spesso se ne parla come se fosso qualcosa di estraneo rispetto a noi, ma noi siamo corpi, non si può parlare di corpo senza parlare di noi stessi. Per cui basta parlare di corpi, parliamo di persone!

Alessandro Iachino

in copertina: The Momentary NOW, Zona K


Questo contenuto fa parte dell’osservatorio critico Raccontare le Alleanze