L’uomo e il suo multiforme ingegno possono scatenare piccole rivoluzioni silenziose. Cinema, teatro e fiction sembrano, da qualche tempo a questa parte, dedicarsi con crescente frequenza all’intraprendenza e all’inventiva di ingegneri, industriali e creativi che hanno dato forma a una figura di eroe tipicamente nostrano, tutto concretezza e lavoro.
Steve Jobs è riuscito a trasformare l’immagine di un imprenditore in quella di un sognatore rivoluzionario? L’Italia vuole dimostrare di non essere da meno.
Ed ecco fiorire, nella fiction tv, storie come quella di Giovanni Borghi (in onda nello scorso 12 e 13 maggio) fondatore della “Ignis”, a cui dobbiamo la diffusione dei frigoriferi nelle case degli italiani. Torna sul piccolo schermo anche la più nota vicenda di Adriano Olivetti, a cui la Rai ha dedicato uno sceneggiato in due puntate titolato significativamente La forza di un sogno; a dare voce e corpo all’inventore della celebre Lettera 22 e alla sua “straordinaria avventura imprenditoriale” è l’attore Luca Zingaretti.
In questa prospettiva di valorizzazione del patrimonio nostrano si muove anche una speciale sezione dell’inserto del Corriere della sera, Sette: Enrico Mannucci propone, settimana dopo settimana (48 uscite, ad oggi), storie di eccellenze italiane, vicende che portano alla fondazione di marchi di qualità, dalla Grappa Nonino ai Baci Perugina, dal Caffè Lavazza ai gioielli Bulgari.
Dietro ad ogni logo c’è un percorso che viene da lontano, dietro a ogni invenzione c’è un uomo: ma nell’inno all’intraprendenza sembrano pericolosamente sparire contraddizioni e conflitti e la celebrazione del lavoro come valore rischia di trasformarsi in un’ode ai nostri sistemi produttivi.
Anche sulla scena teatrale fa il suo ingresso l’eroe-lavoratore. Registi e drammaturghi non rinunciano a raccontare invenzioni e scoperte, ma paiono muoversi – come si addice al genere fin dalla sua antichissima nascita – in una prospettiva meno agiografica e più universale. La trasformazione dei metodi di lavoro, la trasmissione di tecniche e saperi, il trionfo dell’inventiva diventano sul palcoscenico quasi archetipi contemporanei, capaci di raccontare l’agire dell’uomo non meno di armi ed amori.
Ad aprire la strada è stata, molti anni fa, la torinese Laura Curino: al conterraneo Olivetti la narratrice dedica due bellissimi monologhi diretti da Gabriele Vacis (1996; 1998), mentre una più recente produzione (2008) percorre i gloriosi sentieri del design, da Castiglioni a Magistretti.
Nella stagione appena conclusa ha raccolto il testimone Roberta Torre, con Il colore è una variabile dell’infinito, una produzione del Crt Milano in scena fino allo scorso 8 giugno. La regista milanese, come le è congeniale, contamina i generi e confonde volutamente il punto di vista intrecciando teatro e musical, storia personale e storia nazionale. La vicenda è quella dell’ingegnere Pier Luigi Torre, inventore della Lambretta e nonno della regista: una narrazione che, fin dai presupposti, non intende essere lineare né oggettiva, mentre l’evidente coinvolgimento personale diventa un filtro deformante e immaginifico. I riferimenti storici sono trasparenti e puntuali (l’incombere della guerra, l’avvento del fascismo, l’esplodere del boom economico), eppure il codice scelto è – come è evidente fin dal titolo – quello fantastico e favolistico: su uno schermo che fa da sfondo vengono proiettati disegni e animazioni (a cura di Valeria Palermo) che ritraggono l’ingegnere a bordo dell’aereo, tra le nuvole di un cielo che pare quello della sua immaginazione. A farla da padrone, nella partitura elaborata dalla Torre in collaborazione con Renata Molinari, è proprio la potenza eversiva del sogno, capace di aggirare ostacoli e le leggi del razionale; e hanno allora diritto di cittadinanza, in questo racconto magmatico ed energico, canzoni e stacchetti danzati, i monologhi e le brillanti improvvisazioni di Paolo Rossi (che oscura con la sua performance l’interpretazione più impostata degli altri attori).
Per raccontare vicende di industria, impresa e aziende – sembra ricordarci Roberta Torre – occorre volare alto: ed è solo nel distacco da una prospettiva realistica o meramente celebrativa che possiamo coglierne la portata universale della creatività dell’uomo e della sua forza.
Maddalena Giovannelli