In occasione del FringeMi 2023, le pareti scarne dello spazio di coworking Materia diventano palcoscenico per un concorso di bellezza: nei panni di una delle contendenti, entra in scena, in punta di piedi, l’attrice Lucia Raffaella Mariani. Fissa il pubblico in modo insistente; il bianco perla di un sorriso forzato divide le sue labbra bordate di rosso, mentre un corsetto attillato le cinge il corpo. Scatta il timer: avrà un’ora di tempo per farsi amare dai giudici-spettatori così, «per quella che è».
Classe ‘99, l’attrice presenta il suo primo lavoro drammaturgico: sfruttando la prima persona e attingendo alla propria esperienza personale, Lucia espone al pubblico tensioni e manie della sua quotidianità. Confessa l’ansia di piacere, la dipendenza dall’approvazione, la sete di rivalsa: una gara all’apparire in cui – ça va sans dire – è coinvolto tutto il genere femminile. Prende così forma un’ode femminista capace di svelare i drammi dell’essere donna oggi.

Emerge l’immagine di una società che chiama la donna a modellarsi costantemente in funzione dello sguardo maschile, quel male gaze – teorizzato dalla critica cinematografica Laura Mulvey – capace di elargire amore e assicurare validazione. Mariani ammette di essere vittima di questo condizionamento, ma non può farne a meno: per sentirsi realizzata deve essere irresistibile. E allora trafuga i reparti beauty delle farmacie – «il dio della bellezza è un dio inclusivo, bastano i soldi in tasca» –, monitora il proprio peso sulla bilancia, indossa culotte color carne per coprire la cellulite.

La densità anche politica dei temi sviscerati, in cui siamo tutti implicati, viene restituita attraverso una forma ibrida, che mescola la stand-up comedy al canto, il monologo tragico alla slam poetry. Dallo scarto continuo tra tono frivolamente colloquiale e liricità improvvisa dei momenti in versi, scaturisce una vertigine emotiva che non lascia indifferenti. Nella sua ossessiva ricerca della perfezione, Mariani vorrebbe essere una Marilyn Monroe, a costo di entrare nel buio che ha portato l’icona del cinema al suicidio. Ma per quanto ci provi, non lo è: il president(e) a cui Lucia canta Happy Birthday prima la porta a letto e poi non le rinnova il contratto. Vorrebbe essere Marilyn e invece non è altro che una Sweet Charity: come il personaggio di Bob Fosse, cerca in continuazione conferme e solidità nell’affetto degli altri.

Man mano che veniamo guidati nella scomoda condizione che Mariani vive ogni giorno, la sua maschera da soubrette si scioglie progressivamente in polvere di glitter. Alla fine, rimangono solo rabbia e frustrazione: il suo corpo è provato, sfinito, arreso. E dopo essersi mostrata per quello che è, in tutte le sue incongruenze, l’attrice chiede un’ultima, sincera, dimostrazione di affetto: ai piedi delle proprie sedute, gli spettatori trovano delle rose, a loro discrezione la scelta di lanciarle o meno all’artista. Un gesto apparentemente delicato si trasforma così in un atto violento: l’ennesima contraddittoria dichiarazione di un amore che le precipita addosso, ancora una volta, dall’esterno.

Ginevra Portalupi Papa, Alessandro Stracuzzi


in copertina: foto di Davide Aiello

FREEVOLA
di e con Lucia Raffaella Mariani
consulenza alla regia e alla drammaturgia Lorenzo Maragoni
consulente al movimento scenico Erica Nava
una produzione Trento Spettacoli
con il sostegno di Potenziali Evocati Multimediali

Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2023